Far luce sulle ombre del mercato lavoro

I numeri dicono che in regione va tutto a gonfie vele ma il neo assessore Vincenzo Colla dovrà mettere mano a sottoccupazione, precarietà, false partite Iva, emigrazione giovanile

di Paolo Rebaudengo


Va davvero a gonfie vele il mercato del lavoro nella nostra regione e nella nostra città? I confronti con le altre regioni lo confermano.  I nostri “fondamentali” sono eccellenti. Qualche ombra va tuttavia portata alla luce, se ci si permette il gioco di parole. Si tratta di “sprechi umani”, sia pure in percentuali relativamente basse, a cui il nuovo assessore regionale al Lavoro Vincenzo Colla dovrà cercare di porre rimedio: disoccupazione, sottoccupazione, inattività, part-time involontario, precarietà, lavoro nero e irregolare, disuguaglianze, false partite Iva, alte professionalità impiegate in mansioni elementari, emigrazione di troppi giovani.

Nelle piccole imprese del settore turistico e della ristorazione, cresciute esponenzialmente negli ultimi anni e che pur hanno contribuito a far salire il tasso di occupazione, nelle imprese edili, nel lavoro domestico, nelle cooperative spurie si annidano molte delle criticità elencate. I dati non mancano: Istat, Inps, Agenzia Regionale del Lavoro, statistiche della Regione e del Comune, Osservatorio regionale sul fenomeno migratorio e altri.

Il tasso di disoccupazione regionale è pari al 5,3% (più alto solo del Trentino Aldo Adige, Veneto e Lombardia), ma è del 6,6% per le donne, che sale al 19,4% per le giovani: 64.000 in regione, 15.000 nella Città metropolitana.

Gli “inattivi” (che non lavorano e non cercano lavoro) tra i 15 e i 64 anni in regione sono 728.000. Di questi si calcola che almeno 79.000 pur non cercando lavoro sarebbero disponibili a lavorare se non fossero “scoraggiati” dai risultati di passate ricerche.

Rispetto agli anni più cupi della crisi, il mercato del lavoro a Bologna e in Emilia-Romagna ha recuperato su molti fronti meglio di quanto sia riuscito a fare complessivamente il nostro Paese. Il calo di occupazione nell’industria ha trovato compensazione nel terziario, ma non in termini di ore lavorate, di qualità professionale, reddituale, sicurezza.

Neppure qui è trascurabile il numero dei giovani che si trasferisce all’estero senza prospettiva di ritorno: 13.000 in regione, 2.800 a Bologna nel solo 2018.

Superano i 130mila i Neet, acronimo inglese per dire giovani tra i 15 e i 34 anni che non studiano, non lavorano, non cercano lavoro.

Molto alto anche il numero delle false partite Iva, ora spinte anche dalle agevolazioni fiscali che illudono i lavoratori.

La carenza di ispettori del lavoro a Bologna e in regione (si calcola che per visitare tutte le imprese occorrerebbero ventitré anni…) impedisce di intervenire nelle imprese dell’edilizia e del terziario ove anche l’attività sindacale è poco praticabile.

Oltre alla questione femminile, giovanile, dei lavoratori poveri, dei disoccupati, vi è quella degli immigrati che le riassume tutte.  In centro a Bologna, specie nelle strade del quadrilatero, incrocio ogni giorno almeno una decina di giovani di colore che elemosinano, sempre gli stessi e nello stesso posto, un numero che aumenta il sabato e la domenica. Vengono a Bologna, alcuni solo nel fine settimana, da Castelfranco, Modena, Carpi, Sassuolo, Reggio Emilia. Una parte di loro ha frequentato corsi di italiano e professionali e ha un lavoro saltuario, con paghe insufficienti per una vita dignitosa.

Il Reddito di cittadinanza non ha cancellato la povertà. Il numero di famiglie povere, non solo di quelle immigrate, in Emilia-Romagna è assai più basso di quello medio nazionale, grazie al “Piano di Contrasto alla Povertà della Regione Emilia-Romagna 2018-2020”. Tuttavia il fenomeno dei lavoratori poveri, specie tra i giovani sotto i 35 anni e a quelli tra i 35 e i 49 anni con minori a carico, costituisce un problema sociale serio. Non ultima per i giovani la difficoltà di trovare casa, con prezzi degli affitti alle stelle, cui si aggiungono richieste a essi inaccessibili di fideiussioni bancarie; tanto meno possibile l’accesso a un mutuo. Il 34% delle famiglie nella nostra regione non è in grado di fare una settimana di vacanze all’anno; il 26% non riesce a far fronte a spese impreviste sopra gli ottocento euro; il 10% a pagare le rate del mutuo e le utenze.

Per gli immigrati la condizione di povertà non è dissimile da quella che si registra in altre regioni italiane e nei Paesi dell’Ocse. Quest’ultima stima che il 65% degli immigrati svolga mediamente lavori a bassa qualificazione, che per l’Italia sale all’86%, di cui almeno la metà consistente in operazioni manuali elementari come quelli di pulizia e raccolta dei rifiuti. Oltre il 38% vive in condizione di povertà, contro il 18% dei nativi. Gli immigrati lavorano prevalentemente nell’edilizia, in agricoltura e allevamenti, servizi domestici, alberghi e ristoranti.

In regione sono 260.000, il 13% degli occupati. Solo l’11% svolge un lavoro autonomo, contro il 25% degli italiani.  Il 24% ha un lavoro a part-time (per le donne straniere si sale al 31%). Le retribuzioni medie degli immigrati sono più basse del 27% rispetto a quelle degli italiani. Nel 2017 risultavano in regione 64.000 stranieri assunti come lavoratori domestici (circa 15.000 a Bologna), rappresentando l’83,4% del totale dei lavoratori domestici, percentuale che sale al 90% per il “badantato”, esercitato prevalentemente da donne dell’Europa dell’Est.

La maggioranza ha un contratto di 54 ore settimanali ma la durata del loro lavoro arriva a 60 ore. La retribuzione mensile va dagli 800 ai 1.100 euro, di almeno 150 euro più bassa di quella delle italiane. Questa attività, definita di “segregazione occupazionale” è tipica del welfare mediterraneo, detto anche welfare invisibile, a carico delle famiglie, mentre nei Paesi dell’Europa del Nord è a carico dei servizi pubblici.


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