Pd, il Grande Assente

Oltre l’emergenza, serve un pensiero politico di lungo respiro

di Massimo Gagliardi, giornalista


Salvini dice tutto e il contrario di tutto. La Meloni fa uscite più calibrate, Berlusconi fa l’europeista e lancia segnali alla maggioranza. E il Pd? Non pervenuto. Tace.

Conte ha già tanti problemi e sarebbe inutile disturbarlo, si potrebbe pensare sia la posizione dei dem. Intervenire sì, ma solo sulle cose importanti. Ad esempio il Mes senza condizioni.

Conte si è giocato il tutto per tutto attestandosi sulla linea coronabond o niente. Nonostante il suo ministro pd Gualtieri avesse definito un “successo memorabile” il primo vago accordo all’Eurogruppo e nonostante il pd Gentiloni avesse portato a casa la cassa integrazione europea. 

Niente da fare. Conte si è arroccato. Bruxelles e Berlino hanno lanciato segnali di apertura e finalmente il Pd ha deciso di indurre il premier a fare una parziale retromarcia. Ma questa è solo una delle tante battaglie (o scaramucce) che dovrà affrontare la maggioranza.

E Zingaretti? Non pervenuto. Avrà agito dietro le quinte, speriamo. C’era anche lui dietro l’improvvida uscita di Delrio sulla patrimoniale? È durata lo spazio di un pomeriggio, bocciata finanche da Prodi che su un’altra patrimoniale, la tassa di successione, si giocò un’elezione contro Berlusconi.

Ma queste sono questioni che si risolvono in mezze giornate o settimane.
Il problema di fondo è che da decenni il Pd non elabora più pensiero politico. Non elabora strategie, visioni, ciò che gli aveva dato sempre un grande vantaggio e una oggettiva diversità, nel bene e nel male, sugli altri partiti.

Quando Togliatti lanciò il progetto di egemonia culturale del Pci sulla società italiana, destinato a realizzarsi compiutamente dagli anni Settanta, stava applicando l’elaborazione politica gramsciana.

Quando i socialisti Lombardi e Nenni ottennero nel 1962 la nazionalizzazione dell’energia elettrica, non fecero che tradurre in azione di governo un pensiero politico maturato decenni prima. E potremmo continuare.

Il Pci si era dotato di riviste, luoghi di dibattito interno e di una rete di personalità tali da dettare la linea alle amministrazioni, locali e centrali. Ora siamo affollati di fondazioni fondate da questo o quel capocorrente ma ci chiediamo tutti quale efficace contributo abbiano prodotto.

Non vogliamo evidenziare qui i limiti, anche grandi, e gli errori che non mancarono, delle passate strategie politiche. Quello che ci preme evidenziare è la capacità di un partito di fare da cerniera tra l’elaborazione politica e l’azione di governo.

Non invochiamo, per carità, il ritorno dell’intellettuale organico ma un Pd che si faccia motore di un dibattito politico alto, strategico, in tempi in cui, trovati i soldi per tamponare le prime falle, occorre ripensare totalmente il modello di società in cui viviamo. E non più solo dal punto di vista ambientale.
Questo è il tempo in cui bisogna avere sguardo lungo, pensiero profondo, visione.

È il tempo in cui chiediamo alla politica di alzare la testa. 

L’Amministrazione faccia il suo compito, importantissimo.
Nel frattempo, però, la Politica abbracci le personalità in grado di sorprenderci, i profeti dell’innovazione, quelli della giustizia sociale e del riequilibrio delle risorse. E non pensiamo certo ai comitati di saggi che nascono come i funghi solo per darsi vernici di competenze. Di questo Pd non sappiamo cosa farcene.

Così facendo si candida solo all’irrilevanza, a un lento e inesorabile declino.


4 pensieri riguardo “Pd, il Grande Assente

  1. Per chi è cresciuto (e invecchiato) credendo nella forma partito di partecipazione costituzionalmente garantita il guado non è ancora finito. Nella crisi dei partiti un Paese che presenta un governo, un commissario, un supercommissario, le regioni e centinaia di esperti di task forces o di think tanks e che ancora non riesce a far funzionare la cassa integrazione è preoccupante.
    gianluigi magri

  2. Perfetto il commento di Magri. Il lamento sul non protagonismo del PD in questo momento, di Gagliardi, che potrebbe tradursi facilmente solo con uscite infelici ben parodiate dalla sortita sulla Patrimoniale, non mi pare centrato. La vita di una organizzazione politica, strutturata nelle vecchia forme del partito o in altre forme più moderne deve avere un importante dibattito culturale ma è bene che questo dibattito avvenga non nei momenti di crisi quando rischierebbe solo di disturbare il manovratore che deve poter andare spedito, eventualmente guidato da decisioni prese da questo dibattito ma maturate in tempi diversi.

  3. Sono due i termini che mi fanno riflettere di quanto scrive Massimo Gagliardi, entrambi alla fine del suo intervento: amministrazione e declino.
    Sono in due frasi distinte ma vorrei proporvi di unirli
    Suona così:
    Se il PD si limita solo all’amministrazione dell’esistente, gestirà solo l’amministrazione del declino!
    Va detto, per prima cosa, a chi si vuole parlare.
    Va sciolto il nodo se si vuole essere il partito delle libertà civili, magari senza aspirare ad un vero progetto riformista e di governo del Paese o si vuole ad esempio rientrare con forza nei luoghi di lavoro, con uno sguardo nuovo, magari recuperando il criterio del merito che è l’unico che ci garantisce l’uguaglianza (del punto di partenza)
    Vanno dette parole nette ed anche scomode su fisco, immigrazione, lavoro che riescano a ridefinire un’identità positiva e plurale e non semplicemente negativa (il solito mantra di noi siamo quelli che hanno salvato il Paese da Salvini…)
    Un esempio di questi giorni è la proposta di Teresa Bellanova di regolarizzare i circa 600 mila immigrati clandestini che lavorano come stagionali nell’agricoltura in situazione di totale sfruttamento.
    Ho sentito amici del PD che mi hanno detto: “sarebbe sacrosanto ma non abbiamo i numeri e poi ora rischiamo di non essere capiti dalla gente”
    Provate a pensare quante volte ci siamo detti o sentiti dire le stesse cose…
    Senza una visione si amministra il declino

    1. Parole facili da scrivere, quelle sul PD. Ancora più facili, direi di scuola, quelle sul PCI.
      Il PD oggi è l’unico partito in grado di governare il nostro Paese, ma può contare sul 21% degli elettori. Grava principalmente sul nostro partito la responsabilità di sistemare il grave dissesto dell’Italia e di creare un equilibrio politico condotto da un governo stabile ed equilibrato Il PD ha finalmente un segretario che intende fare il segretario e non il leader (converrà correggere lo statuto del partito). L’opposizione blatera, anzi urla, ma non è in grado di governare. La situazione economica è difficilissima, molto vicina a quella dell’immediato dopoguerra. Lo stato del partito non è eccellente. Bersani e Renzi si sono comportati da leader e hanno trascurato il partito per concentrarsi sulla leadership personale, facendo nascere tanti capi e capetti locali che vantano pretese. Il problema dell’unità del partito è serio e non facile da realizzare. Va riveduta anche la funzione e l’organizzazione degli iscritti. Non c’è poco da fare, c’è una difficilissima strada da percorrere

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