Quando Bologna fu Roma. Quarta parte

Città europea da Carlo V a Dossetti, da Prodi a Zuppi

Se in San Petronio il rito di incoronazione del Sacro Romano Imperatore lo vediamo come l’Alfa di un processo federalista, non a caso avvenuto in questa città, l’Omega allora sarà rappresentato da due bolognesi di Reggio Emilia e da un missionario. Il primo fu partigiano, poi padre costituente, quindi si fece monaco. Il secondo divenne commissario Ue e fu decisivo nel raggiungimento della moneta unica. Il terzo arriva a Bologna da parroco di periferia e da mediatore internazionale dei processi di pace in Africa

di Gabriele Via, poeta


Quarta passeggiata

Quando il senso del passato illumina l’immaginazione del futuro

Muoviamo la cenere, le braci vivono. Così, un secolo dopo i fatti della Republica Popolare di Bologna, avremo ancora una rivolta che vedrà la clamorosa distruzione della statua del Papa realizzata da Michelangelo. Ma già nel 1547 il Concilio che dovrà decidere come comportarsi davanti alla Riforma luterana si sposterà da Trento a Bologna. E qui dal 1547 al 1563 si giocheranno le sorti del mondo di allora.

Prima ancora, però, correva l’anno 1530, troveremo Carlo V risiedere a lungo al Collegio di Spagna per essere poi incoronato dal Pontefice Clemente VII Sacro Romano Imperatore. E anche questo ci riconduce in San Petronio, la Basilica del Comune, ripetiamolo, non nella cattedrale dell’attuale via Indipendenza.

E potremmo gettare lo sguardo più indietro ancora, in età Scolastica, e scoprire che nel 1220 Domenico di Guzman è a Bologna, dove vuole sorga il principale presidio del suo ordine. Tale presidio sarà subito un faro per l’Europa – e proprio a Bologna Domenico morirà l’anno seguente, venendo qui sepolto – e avrà nei secoli un’importanza culturale e politica di primissimo ordine. Quando affermiamo quindi che Bologna è al centro della questione europea da sempre non stiamo per nulla esagerando.

È la storia. E bisogna sedersi, e respirare, se si vuole ragionare su questa nostra vivace città, avvertendo l’urgenza delle scelte, ma anche la grande responsabilità che ci spetta. Sedersi, ascoltarsi, ricordare di quando Bologna non fu una provincia di Roma, ma in determinati momenti Bologna fu Roma. Ovvero città che non teme il passare del tempo, se serve a dettare i destini del mondo.

E ancora, venendo alla generazione dei nostri padri e madri, quando l’assemblea Costituente ebbe la visionaria fiducia di affermare la nostra millenaria storia civile umanistica e giuridica, dopo venti anni di umiliazione e cinque anni di guerra, c’era  lì un “bolognese di Reggio Emilia”, tale Giuseppe Dossetti, la cui penna risultò decisiva proprio per la scrittura di quella parte universale e luminosa della nostra Costituzione, cui ancora guardiamo con la fiducia del navigante verso la propria bussola. Anche di recente avemmo un bolognese di Reggio Emilia, Romano Prodi, il cui slancio europeista è storia che è forgiata nel varo stesso della moneta unica.

Giuseppe Dossetti e Romano Prodi

Ritengo questa lunga premessa necessaria, non solo perché siamo ancora chiamati a dire “chi siamo e cosa vogliamo” ma sono questi i momenti in cui non bisogna dare nulla per scontato. E non è escluso che ragionando criticamente di Europa ci potremo ritrovare a trattare non più e non solo di moneta unica e di frontiere più o meno aperte; ma prima e al di là di un argomento come il Mes e di modalità di gestione del debito e della solidarietà, di una comune realtà fiscale e di un comune orizzonte di diritti civili e del lavoro, da definire – in forza della nostra storia – come sacri e inviolabili. Perché per troppi anni questa necessità è finita oscurata da sporchi giochi in cui mercato e moneta hanno umiliato popoli e diritti, non dando loro il tempo del concilio. Più Europa dovrà essere quel motto capace di riportare il senso della storia. E l’Italia e Bologna devono sapere cosa rappresentano come pensiero umanistico, giuridico, filosofico, artistico e spirituale nel consesso che fa dell’Europa ciò che l’Europa è o dovrebbe essere.  

E specialmente oggi, in piena crisi. Ma a Bologna abbiamo un vescovo come don Matteo Zuppi, essendo Papa Francesco, dobbiamo cogliere l’opportunità di un grande laboratorio umanistico in una nuova relazione Stato-Chiesa. Il ruolo dell’educazione, nel rispetto delle diverse prerogative fra Stato e Chiesa – ma su questo proprio e ancora una volta Bologna è prima in Italia e nel mondo – e quindi il ruolo della diplomazia internazionale. Non sarebbe peregrino affrontare la questione storica delle relazioni internazionali, che dopo la seconda guerra mondiale si sono cristallizzate. La recente crisi ci ha visti tutti nuovamente sulla stessa barca. E tanti schemi rigidi del passato sono parsi obsoleti. Forse l’Italia di domani sarà una sede neutrale di diplomazia, di dialogo, di ricerca, di innovazione. L’Italia, per storia e genio, è un patrimonio civile vivente dell’umanità. Forse, in una visione di Scuola di Pace interculturale, civile e politica, possiamo pensare a Bologna come luogo di una nuova diplomazia.

E se non ora, quando?


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