Il vecchio commercio moderno bolognese alla prova della ripartenza

Il settore entra in fase 2. Dopo le maggiori vendite nel lockdown, col ritorno al lavoro non potremo più stare in fila; per le troppe grandi superfici sono prevedibili cali di ricavi, cui potranno seguire prezzi più alti o meno servizi. Ma ci sono pure notizie belle. Le botteghe di qualità hanno aumentato le vendite e si è rafforzata la rete tra strutture indipendenti della filiera alimentare: piccolo sembra tornare più bello e più “figo” di grande

di Maurizio Morini, esperto di Innovazione applicata, ricercatore sul lavoro del futuro, direttore di DataLab


Lo sostengo da anni: la distribuzione alimentare italiana è tra i macrosettori economici uno di quelli che ha innovato meno e peggio in questi ultimi 20 anni. Le cause sono tante, non entreremo nel merito qui. Ma i lettori di Cantiere Bologna, da cittadini, sono senz’altro interessati alle prospettive del commercio alimentare in città.

Diciamolo senza ipocrisie: dal 2000 a oggi nel nostro territorio si è avuto un proliferare di strutture della Gdo (grande distribuzione organizzata) e assimilati con pochi eguali in Italia. Le superfici destinate alla vendita sono aumentate fin quasi a raddoppiare, mentre la popolazione provinciale è rimasta stabile. I risultati sono sotto gli occhi:

  • Strutture che faticano per la rilevante concorrenza
  • Prezzi che lievitano per recuperare margini e redditività
  • Servizi al cliente di sovente al limite dell’accettabile.

Pensavamo che quanto ci è accaduto in questi mesi avrebbe potuto determinare un cambiamento repentino, se non altro favorendo le insegne che si sono proposte con la vendita on line. E invece sappiamo cosa è successo: avendo pensato di gestire un tema innovativo come la vendita in e-commerce con le logiche organizzative consuete, gli operatori della Gdo attivi sul territorio locale sono subito andati in tilt. Ed essendo incapaci di operare in maniera “agile”, non hanno potuto far altro che allungare fino al “senza data” i tempi di consegna, perdendo un’occasione unica di acquisire clienti attivi (che sono la principale risorsa dell’e-commerce). 

Ed ora “parte la ripartenza”. Con le regole del social distancing. E con molti punti interrogativi per il settore. Ad esempio, nella massa di metri quadri disponibili, dovremo recarci a fare la spesa con le nuove regole (in vigore da settimane): restando distanti da avventori e operatori della struttura, con ingressi contingentati, perdendo più tempo del dovuto per fare acquisti con servizi ridotti al minimo.

Pertanto è plausibile che con la ripartenza le vendite si abbasseranno per ogni singola struttura. Ma come avverte qualche valido studioso, emerge un problema di fondo: per la grande distribuzione è fondamentale ottimizzare i risultati in funzione della gestione dello spazio, e quindi il rischio concreto è quello di avvilupparsi in una spirale negativa, in quanto per ottimizzare quei risultati citati, con la riduzione delle quantità di prodotti venduti, i rimedi classici sono due: aumentare i prezzi e ridurre i costi, quindi ridurre il servizio. Con buona pace della soddisfazione dei cittadini della Bologna metropolitana.

Sicuramente le ampie squadre di manager che le strutture in questione sfoggiano dovranno impegnarsi in profondità sull’argomento. Vorrei solo esprimere un avvertimento: che evitino di mettere la testa sotto la sabbia, ovvero negare che il futuro dovrà per forza essere diverso da quello che abbiamo vissuto fino a tre mesi fa, e che si trincerino dietro il “voi non capite la complessità del nostro modello di business”, espressione più volte sentita in questi mesi e francamente ingenerosa verso l’intelligenza di chi ascolta (oltre naturalmente di chi la pronuncia).

Però ci sono buone notizie dentro questo scenario, per i cittadini bolognesi.

La prima è legata al fatto che le “botteghe di qualità” in queste 10 settimane hanno mantenuto e spesso rafforzato il loro posizionamento, così come è cresciuta la vendita di prodotti a km zero, direttamente dal produttore, presso gli agricoltori della nostra provincia. Ed è proprio vero che quando ci si riabitua alla proposta di livello qualitativo superiore, tra l’altro non necessariamente più costosa (prendiamo il caso dell’ortofrutta), poi si fa fatica a tornare indietro. Quindi potremo assistere alla ripresa dell’attività e alla crescita delle professionalità nelle botteghe alimentari e presso i piccoli produttori (i quali dovranno per forza adeguarsi alle norme igienico-sanitarie, che spesso sono state per loro un limite ma ora diventano condizione indispensabile).

La seconda buona notizia deriva dalla ricerca, attiva e in corso, di fare rete tra le strutture indipendenti della filiera alimentare. Il fenomeno è in atto e non può che essere il benvenuto, soprattutto da parte di chi come me da anni sostiene che solo con l’aggregazione effettiva in “reti di valore” le realtà locali territoriali avrebbero potuto riprendere vigore. Tra l’altro le realtà associative bolognesi più avvedute si stanno muovendo con solerzia nel promuovere soluzioni avanzate a favore delle imprese loro aderenti, con un focus particolare sull’alimentare (e sui servizi alla persona).

Quale futuro quindi per il commercio nella nostra provincia? Meno scontato di quanto poteva sembrare pochi mesi orsono. Potremmo vederne delle belle.  Ad esempio che sul versante della innovazione che disintermedia (la cosiddetta “amazonizzazione” del mercato), piccolo torna non solo a essere più bello, ma diventa anche più performante (e figo) di grande.

Potrebbe non essere male, voi che ne dite?


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