Un giro per negozi a intravvedere i segni di un settembre nero

Eppure c’è chi i clienti li acchiappa, eccome: gli innovatori che catturano l’immaginazione con la tecnologia, gli strateghi che conquistano la fiducia facendosi dare il tempo dei saldi dalla clientela, altro che lo stantio viceversa. Chi soffre è il vuoto delle catene in centro, negozi uguali e mai diversi, spazi grandi ma tanto anonimi. Quando è chiaro che oramai i turisti che spendono bisogna andarli a prendere a casa con la forza delle idee perché i voli low cost non bastano più

di Luca Corsolini, giornalista


Invece che mare e ombrelloni, con zero comprensione per chi è andato all’estero – lo devo proprio dire – ecco una vacanza quasi sociologica in città, i giornali con i resoconti sulla ripresa, o la permanenza delle difficoltà, come guida, a cercare i segni premonitori di quel settembre nero di cui tutti parlano.

Una tappa per i negozi, l’altra per la ristorazione.

Negozi: i miei Alfa e Omega, inizio e fine del viaggio, sono l’Apple in via Rizzoli e l’Outlet di Castelguelfo. Il tempio della Apple davanti al quale il giorno della riapertura, a giugno – i commessi degli altri negozi tristi, quasi spaventati sull’uscio a vedere clienti che non entravano – c’era gente, e non poca in coda: non solo fedeli di quella nuova religione che è la tecnologia, ma anche persone comuni che andavano a omaggiare, ringraziare il potere salvifico di telefonini e tablet sperimentato durante l’isolamento. Però un tempio, appunto, non un negozio, con una sua identità, forte e singolare.

Poi, l’Outlet, una domenica mattina. Poco lontano centinaia di auto in coda, già alle 10, sulla rotta per la Riviera, 103 minuti per arrivare a Rimini sud dicevano i cartelli. A Castelguelfo una grande Ztl, dove camminare è persino un piacere, dove qualche ricordo della torre di Babele che era Bologna prima del Covid ti torna in mente sentendo parlare gli stranieri, dove noti, col piacere e col magone di questa estate zanardiana, quante carrozzine ci sono con i relativi proprietari felici di potersi muovere senza fatica. Ogni negozio fa i suoi affari: così come in Sicilia e in Sardegna vien sempre la voglia di chiamare un romagnolo a dare una lucidata ai tesori, così lì viene in mente di invitare qualche negoziante lamentoso a imparare la lezione. Negli outlet, riassunto facile, troppo facile perché ci sarebbe tanto altro da dire, il tempo dei saldi è dichiarato dalla clientela, e in questo ribaltamento della piramide c’è tanto del successo di Castelguelfo e dei suoi fratelli. Che, aggiungo, hanno una identità, non sono impersonali.

L’esatto contrario dei negozi delle catene in centro: uguali e mai diversi, spazi grandi ma anonimi. Addirittura, a ragionare di spazi, perché è evidente il disagio rispetto ai posti di lavoro che spariscono, ma questa è una battaglia primariamente di spazi, anche, volendo, per difendere i portici, basta ricordare il caso di Zara che, a Bologna e in altre città, ha cercato i cinema in centro, ne ha preso le cubature senza acquisirne le anime. Cosa danno a Bologna, di valore aggiunto, questi negozi, tutti uguali, dappertutto uguali? Facile risposta: poco o niente. Coda davanti alla Apple, clienti spariti per questi spazi grandi che proprio perché grandi hanno bisogno di gente: dipendenti e acquirenti.

Non è solo un voto per i negozi di una volta, è il voto per un maggiore controllo di quello che le vetrine racconteranno. Facile dirlo, oltre tutto, in un momento in cui pure la Barilla sviluppa una campagna local parlando del sorriso dei cinni.

Prendiamo le scarpe, le sneakers. Visto un paio di Louis Vuitton in galleria da quasi 800 euro, poco lontano, due negozi vicini. In uno, quello delle scarpe con la N, non con il baffo, la nuova icona per i bolognesi, i saldi sono bloccati al 30%. Nell’altro arrivano anche al 50% e si capisce chi è più in salute: chi vende e riesce a svuotare il magazzino che per altri è diventato una zavorra, una specie di patrimonio infruttifero.

Infine, piazza Galileo. L’insegna sopra il negozio è storica, l’interno pure, vezzo dei proprietari che pure sono dei ragazzi, ma Back Door, oggi rappresentato da Marco Evangelisti, è il manifesto del nuovo commercio bolognese. Vende, tanto, in negozio e online, coccola i suoi clienti, fino a organizzare, per la messa in vendita della riedizione delle Nike indossate da Michael Jordan agli inizi della sua carriera da guru della moda, un vero e proprio evento. Vetrine oscurate da un allestimento intelligente, due liste di fortunati acquirenti ammessi nel club dei 2000 che potranno mettersi ai piedi un prodotto di culto. Mille bolognesi, coccolati con adesivi sparsi in centro e nei luoghi top del turismo prima dell’Air Day, e altrettanti arrivati da Italia ed estero perché sì, i turisti tornano e torneranno, ma adesso bisogna andarli a prendere a casa con la forza delle idee perché i voli low cost non bastano più.

Photo credits: Cassandre Boyer


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