Macchiata di rosso, a Bologna nulla sarà come prima

Prendiamo atto che il Covid ha cambiato tutto. A partire dalla gente. Quale città vogliamo presentare a chi viene da fuori? E chi verrà? I numeri li farà, almeno per due anni, il turismo di prossimità: italiani e, ancor più, emiliano-romagnoli. Cosa ne faremo degli spazi che erano ormai dedicati a questa attività? E i tempi? Saranno più gli stessi? Ecco, questo dovrebbe essere lo scenario della campagna elettorale. Parlare d’altro è bello, persino giusto, ma rischia di essere inutile

di Luca Corsolini, giornalista


E adesso? Adesso che è il sindaco Merola in persona a chiedere di colorare di rosso il nostro orizzonte sociale, e che cominciamo a pensare che le elezioni comunali possano slittare, che debbano slittare a settembre perché diventate secondarie rispetto alla battaglia vera, quella sul fronte del Covid, cosa ce ne facciamo della campagna elettorale già cominciata, fin troppo presto come avevamo sospettato? Non è un problema solo di calendario, è alle persone che il Covid è un avversario tosto, subdolo anche, e non sappiamo davvero come comportarci.

Era umano, è profondamente umano avere voglia di voltare pagina, ma poi viene il momento in cui bisogna guardare in faccia la realtà: nessun ristoro vale quanto un vaccino per ripartire, e fino a quando non saremo abbastanza vaccinati il nostro è un orizzonte breve, di sopravvivenza non di pianificazione, e gli slanci tipici da campagna elettorale sembrano ancora più lontani da una realtà che non è nemmeno quotidiana. Pure la realtà ha perso il carattere di routine, mai noioso, ed è diventata virale: il Covid si attacca alle persone e non le lascia nemmeno quando sono guarite, la realtà virale si attacca a tutto, attacca tutto e non risparmia niente.

Così il tema non è, e stavolta penso dovrebbe essere chiaro a tutti, la Bologna che vorremmo, che vorremmo partendo dalla Bologna che eravamo appena un anno fa. Il tema, centrale, deve essere una fotografia della Bologna che ci lascia in Covid, una città molto più cambiata di quel che pensiamo perché, intanto, siamo cambiati noi, ed è fatalmente, non ancora definitivamente, spero, cambiato il nostro rapporto con tempi e spazi che, insieme, sono la città che abitiamo tutti i giorni.

Tempi: dopo mesi di bar e ritrovi chiusi alle 18, al netto dell’impegno di Bonaccini di chiedere la riapertura serale dei locali, siamo davvero sicuri che torneremo a sfidare il buio come eravamo abituati a fare? Spazi: si capisce subito il collegamento. Che città ereditiamo dal lungo inverno del Covid, un centro vuoto che nemmeno la riapertura anche di teatri e cinema basterà a riempire?

Da qui, una domanda. Siccome se la fanno in pochi, non abbiamo ancora ascoltate abbastanza risposte per essere tranquillizzati: siamo davvero sicuri che le abitudini di prima ricominceranno da dove le abbiamo interrotte, abbiamo tutti l’ottimismo della necessità delle società sportive che devono sperare per sopravvivere che la gente torni subito in massa allo stadio e nei palasport quando sarà possibile?

Intanto, segnale non da poco, Tim affianca Dazn nella lotta per aggiudicarsi i diritti tv del prossimo campionato perché – e noi che siamo la città di Iperbole che, per prima, per intuizione di Stefano Bonaga, ha frequentato un certo futuro, stranamente non lo capiamo – la tecnologia ci ha liberati sì ma restringendo il nostro perimetro sociale alla casa che abitiamo diventata anche ufficio per lo smart working e sala di proiezione per ogni tipo di spettacolo e a ogni ora come appunto il migliore dei cinema.

Spazi: quanti sono i negozi sfitti, quanti sono quelli che sono diventati sfitti nei vostri percorsi abituali in un anno? Abbiamo camminato e camminiamo a fianco di un futuro incombente senza accorgercene. Tempi: anche qui, si intuisce subito un collegamento. Se ci sono tutti questi spazi liberi, i tempi devono cambiare: bisogna evitare che uffici e scuole aprano contemporaneamente e ancora non ci siamo riusciti, se non per il piccolo sussidio in materia degli smartworkers, ma bisognerebbe anche sincronizzare gli orari dei negozi con quelli della città. Qualcuno ha calcolato quanto hanno perso, per mancati ricavi ma anche per spese, i negozi aperti con la gente già scappata a casa dopo l’ultimo aperitivo?

Poi, tempi e spazi insieme: che Bologna vogliamo presentare a chi viene da fuori? Soprattutto, chi verrà da fuori? I numeri grandi li farà, almeno per due anni, il turismo di prossimità, ovvero di italiani e, ancor più, di emiliano-romagnoli. Dunque l’offerta di hotel e airbn’b, anche per l’effetto indotto dal divieto di trasferimento tra le regioni, e dall’affermazione delle riunioni a distanza, sarà per anni superiore alla domanda: cosa ne facciamo per tanto tempo di tutti gli spazi che erano ormai dedicati a questa attività?

Ecco, questo mi sembra dovrebbe essere lo scenario della campagna elettorale. Parlare d’altro è bello, sarebbe persino giusto, ma rischia di essere inutile. Dopo il successo del Polittico, è giusto rassegnarsi alla considerazione che dovremo e dovremmo ragionare di Bologna davanti a una fotografia piuttosto che a un quadro. Il dipinto ti emoziona, la fotografia ti mette di fronte alla realtà.

Photo credits: Max Nayman


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