Chissà, chissà domani…

Il Covid ha già cambiato molte cose un tempo familiari, come un pranzo tra amici o l’organizzazione della giornata, e tante ancora cambieranno. Andrà tutto bene come abbiamo scritto sui cartelli esposti a finestre e balconi? La sola risposta possibile è che non bisogna avere paura di cambiare. Semmai bisogna temere la banalità delle abitudini

di Luca Corsolini, giornalista


Chissà, chissà domani. Su che cosa metteremo le mani… Lucio Dalla è rimasto a casa sua tutto questo tempo, benedicente su di noi. Eravamo noi che in via D’Azeglio camminavamo senza alzare lo sguardo, feriti nella salute e nei comportamenti dal Covid, brutto avversario che, apparentemente, non abbiamo ancora capito. 

Un virus si combatte con comportamenti virali, dicono i virologi e soprattutto dice l’evidenza. Noi invece continuiamo a rappresentarci la scena quotidiana come una contrapposizione tra noi e loro, dove noi siamo i buoni e loro il Palazzo che, pur con tanti errori evidenti, ci impoverisce la vita, perché azzera le risorse e ci riempie di divieti.

Ma adesso che sembra davvero vicino il momento della svolta, della vita… Futura di Lucio, proviamo per una volta a uscire dallo schema per ragionare della città che vorremmo domani. Insieme: noi e loro.

Siamo comodamente seduti al tavolo di un ristorante o di un bar: per noi più che una scelta è una abitudine genetica. Per loro, e si capisce subito che la città siamo noi, insieme, la decisione di permettere ai gestori di trasferire i locali in strada è, dal punto di vista sanitario, un rischio calcolato. Calcolato male, vien da pensare, e fortuna che non rischiamo, a meno di exploit della Virtus, di avere scudetti da celebrare. Calcolato male proprio facendo conto sulla nostra intelligenza sociale, purtroppo molto scarsa. 

Ma vuol dire anche tante altre cose. Suolo pubblico concesso gratuitamente (e già gli effetti della tassa del turismo sono scomparsi dal bilancio), meno parcheggi disponibili (dunque meno ricavi da soste e multe, con il traffico ridotto dal Covid). Meno soldi nostri per loro, dunque un problema comune e un grande problema in Comune.

Già così, al tavolino si sta meno comodi perché si realizza che la conquista, anzi la riconquista di un caffè o di un pranzo fuori non è gratuita e avrà un suo prezzo. Poi misuriamo la libertà ritrovata valutando che non è il massimo mangiare un panino condito dagli scarichi di bus e auto, non essendo facile replicare durante la settimana il modello felice dei TDays; ci scocciamo perché l’amico a cui abbiamo dato appuntamento non trovando parcheggio arriva in ritardo.

Alla fine, rassegnati, capiamo che loro, il Palazzo, dovranno pensare, in questa campagna elettorale, ai fatti nostri: servono più parcheggi (e dove? Basterebbero semplici spazi, non necessariamente cattedrali capovolte coma in piazza VIII Agosto), bisogna riorganizzare il sistema dei trasporti pubblici (e questo è anche un problema di tempi della città: sul tema è caduto il governo Conte, pur facendosi male anche per altri scivoloni). E avendo ragionato alla maniera di Lucio, bisogna prepararsi all’anno che sta arrivando, al futuro, chiedendo a quel Babbo Natale che fa il sindaco più parcheggi anche per biciclette e monopattini, più aree di ricarica per le auto elettriche e per gli altri mezzi alimentati allo stesso modo che adesso sono pochi ma diventeranno presto una parte rilevante della mobilità cittadina.

Il problema è che non possiamo ragionare solo di cibo, che pure da noi conta parecchio. Dobbiamo pensare anche ad altro. In coda aspettando un tavolo, cominciamo a pensare che forse andare a pranzo tutti alla stessa ora non è una gran furbata. Vero, il coprifuoco alle 22 ci ha accorciato le giornate, ma non ci obbliga a celebrare ogni rito negli stessi orari di prima. Anche perché l’altra ricchezza della città, il sapere, dunque l’università, la formazione, il turismo, è già stata organizzata per avere un altro ritmo. Brunch e happy hour sono nati così: in un mondo in cui è la domanda a determinare l’offerta, chi pensa di potersi comportare come prima capisce in fretta di sbagliare.

E appena l’intelligenza collettiva dei ristoratori si muoverà nel modo in cui già suggerisce Burger King, con la campagna torniamoconcorrenti.it per vaccinare non solo i suoi quattromila dipendenti ma anche altrettante persone che lavorano per altri locali (lo slogan, bellissimo: “Per potervi dare una mano, abbiamo bisogno del vostro braccio”), anche altri si adegueranno: si mangerà a ogni ora, persino i negozi saranno aperti secondo modalità diverse. Davvero un negozio di cancelleria deve avere gli stessi orari di un negozio di scarpe? Erano scomparse le matinée al cinema? Torneranno: Farinelli ci sta già pensando per il Modernissimo. Non erano previste lezioni serali? Ci saranno. 

Forse sarà una previsione sbagliata, ma noi avevamo già i biassanot prima che New York fosse la città che non dorme mai, perché Bologna, come la grande mela, è una città mondo, in cui la vita 24H è quella dei social e dei tanti abitanti di nazionalità diverse che incontriamo quotidianamente, nel bar gestito da cinesi, nei tanti ristoranti etnici e, ovviamente e per fortuna, vicino alle aule dell’Università e in tanti altri luoghi. 

Andrà tutto bene come abbiamo scritto sui cartelli esposti a finestre e balconi? La sola risposta possibile è che non bisogna avere paura di cambiare. Semmai bisogna temere la banalità delle abitudini.

Photo credits: Hugo Kruip


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