Bologna al futuro

Cantiere Bologna ha chiesto a Romano Prodi, Franco Mosconi, Flavia Franzoni, Piero Dall’Occa, Piero Orlandi, Piergiorgio Rocchi, Giovanni De Plato, Maurizio Marangolo, Mery De Martino, Giampiero Moscato e Aldo Balzanelli di elaborare alcune idee per il futuro di Bologna. Una nuova visione della cooperazione del pubblico, del privato e del terzo settore nell’era della globalizzazione e della rivoluzione digitale. Questi contributi sono stati raccolti e pubblicati in un dossier  “Alcune Idee del Futuro che vogliamo”, presentato in Sala Borsa lo scorso 21 settembre. Ora vengono riportati anche sulla rivista, affinché tutta la comunità del Cantiere possa conoscerli

di Romano Prodi, economista


Era certo più facile riflettere sul futuro di Bologna nel lontano Medio Evo, quando la nostra città si trovava saldamente ai vertici della cultura mondiale, di quanto non lo sia oggi, quando siamo una piccola componente di un mondo che ha infinitamente moltiplicato i suoi protagonisti. Un mondo che obbliga non solo Bologna, ma anche l’Italia e la stessa Europa, non a guidare ma a inseguire l’irrompere di nuove forze e di nuove culture.

Non siamo quindi in grado di ricostruire in breve tempo il primato perduto, ma dobbiamo inserirci tra coloro che possono giocare un ruolo attivo e originale nel mondo globalizzato. Con la dovuta modestia ma, nello stesso tempo, con la consapevolezza di potere aiutare le nuove generazioni a costruire il loro futuro e a ritornare di nuovo tra coloro che possono dare al mondo un contributo di innovazione, di esperienza e di equilibrio.

Bologna è una comunità di meno di quattrocentomila persone, un piccolo quartiere (quasi un condominio) di un mondo sempre più vasto, sempre più colto e sempre più informato. Un mondo in cui il nostro spazio esiste solo se inserito nel grande contesto planetario con una sua vocazione specifica, capace di metterne in luce i caratteri e le potenzialità.

La prima condizione per entrare nel contesto planetario è ovviamente quello di parlarne la lingua. Che non è più il latino della Bologna medioevale, ma è ovviamente l’inglese, che dobbiamo rendere di uso familiare e quotidiano per tutta la nuova generazione. Non per dimenticare l’italiano (e possibilmente nemmeno il nostro dialetto), ma per potere tessere almeno un filo dell’immensa rete che oggi avvolge l’intero mondo. Una rete che si fonda su qualcosa che appartiene alla tradizione dei nostri tempi migliori: la conoscenza. 

Essa trova il suo principale riferimento nell’Università, vero e grande patrimonio della nostra città, purché operante in totale consonanza con gli altri atenei della nostra regione e in grado di attirare docenti e studenti da tutto il mondo. Questo implica la moltiplicazione delle risorse ora disponibili e una precisa scelta dei campi nei quali possiamo raggiungere il necessario livello di eccellenza. Una strategia che, già sperimentata con la motor valley, porta immediate ricadute nel sistema produttivo, sempre più fondato sul possesso dei nuovi saperi.

Abbiamo di fronte a noi una nuova prospettiva: il già programmato insediamento di una capacità di calcolo unica in Europa e l’insediamento del data center della meteorologia europea. Tutto questo porterà a Bologna un flusso di esperti e di specialisti che, messi in rete, saranno in grado di fare compiere un salto di qualità non solo al nostro livello scientifico, ma anche alle nostre strutture produttive.

Per questo motivo, l’ultima giornata del ciclo Bologna al Futuro (16, 17 e 18 giugno 2020), che la Fondazione per la Collaborazione fra i Popoli ha voluto dedicare al futuro di Bologna, è stata centrata sul rapporto fra “dati e bulloni” proprio per significare che il futuro della nostra economia si fonda sulla conoscenza. Non possiamo quindi permetterci il lusso di non sfruttare questa grande occasione che ci consentirà di raggiungere una massa critica di conoscenza a cui ben poche altre città della nostra dimensione possono aspirare.

Certamente anche la struttura urbanistica della nostra città dovrà accompagnare questi cambiamenti. Al “campus umanistico” che arricchisce in modo mirabile la Bologna dentro le mura, si dovrà affiancare la nuova città della scienza che, dall’ex Manifattura Tabacchi, dovrà estendersi verso i nuovi insediamenti che compongono, in una necessaria commistione, gli istituti universitari con i centri di ricerca del Cnr, dell’Enea e con le strutture dedicate alla promozione della nuova imprenditorialità. Legare tra di loro queste “diverse Bologne” non sarà un compito facile, ma è questa la sfida che Università, Comune e Regione dovranno insieme affrontare come unico comune obiettivo, adattando i comportamenti politici e le strutture istituzionali al suo raggiungimento.

La rete bolognese non è tuttavia completa se non comprende l’altro pilastro del nostro futuro: il sistema sanitario. Anche nella recente pandemia esso ha dimostrato di essere un patrimonio preziosissimo, che tuttavia non potrà evolversi con la necessaria incidenza e velocità se non in stretta cooperazione con gli altri settori dell’Università: dall’ingegneria alla chimica, dalla biologia alla giurisprudenza, dall’economia alla cultura organizzativa.

Il nostro futuro non è solo nell’approfondimento delle conoscenze, ma nel mettere insieme e mescolare le conoscenze: questo è l’unico “inquinamento virtuoso” di cui i leader politici, economici e accademici debbono rendersi insieme responsabili. La prima conseguenza di questo necessario “inquinamento virtuoso” è che Bologna non sarà più solo fornitrice di giovani talenti al resto del mondo, ma diverrà protagonista di uno scambio alla pari con i migliori cervelli di tutto il pianeta.

Ho insistito e insisto sulla scienza e la conoscenza non perché esse costituiscano l’unico valore di una società moderna, ma semplicemente perché sono condizione per la produzione e la distribuzione delle risorse necessarie a mantenere e rafforzare il sistema democratico e l’innovazione sociale su cui la nostra città ancora saldamente si fonda. Abbiamo di fronte a noi la prospettiva di contare su nuovi responsabili nella gestione dell’Università, nella guida del Comune e della Fondazione che dovrà organizzare i centri dei big data. Il nostro futuro dipenderà dal fatto che queste tre strutture sappiano lavorare insieme e sappiano operare in quotidiana armonia con la Regione e con le altre città dell’Emilia-Romagna. È proprio questo “operare insieme” che è mancato nel costume e nelle istituzioni del nostro Paese ed è ciò che lo ha reso debole di fronte al resto del mondo.

Tra poche settimane ci troveremo di fronte al completamento di questo inedito e totale cambiamento simultaneo dei maggiori responsabili del futuro della nostra città: a loro chiediamo di mettere in atto i cambiamenti istituzionali necessari per lavorare insieme e di abbattere le pareti che, in troppi casi, hanno fino a ora indebolito le loro azioni.

Credo che se riusciranno a fare virtù di questa prospettiva, così singolare, essi potranno fornire all’Italia l’esempio del salto in avanti di cui abbiamo tutti bisogno. Oggi la nostra Bologna ha la possibilità di replicare, anche se in contesto così cambiato, quel ruolo esemplare che la nostra città ha già giocato nel lontano passato.

Photo credits: ansa.it


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