Un nuovo orizzonte per il diritto al tempo

Disegnare e impegnarsi insieme per questo obbiettivo – raggiungibile ma ancora tutto da costruire – significherà affrontare la transizione ecologica partendo dai bisogni e dalle aspirazioni delle persone, dotandole delle giuste condizioni materiali, sociali e culturali. Significa rendere le politiche ambientali delle politiche che le persone possano sentire come proprie. Rendendole tutte protagoniste di un nuovo slancio collettivo. Il tempo è poco, ma è questo che servirebbe oggi

di Mery De Martino, candidata al consiglio comunale nella lista del Pd


È allarme. Ambientale e sociale. Alcuni eventi, i più drammatici, ce lo ricordano ormai quotidianamente, ma ancora manca quel passaggio fondamentale tra ciò che leggiamo in rete, ciò che sta avvenendo nelle nostre città e ciò che dobbiamo fare per fermare questa deriva.

Eppure, è da qui che dovremmo partire se pensiamo che, pur occupando il 2% della terraferma, le città sono responsabili per il 60% dell’emissione dei gas a effetto serra. E se pensiamo ai danni che ne derivano.

Secondo il Climate Risk Index di Germanwatch, tra il 1999 e il 2018, solo l’Italia ha registrato 19.947 morti riconducibili agli eventi meteorologici estremi e perdite economiche di 32,92 miliardi di dollari. Se le città sono le principali responsabili, a farne maggiormente le spese sono coloro che non hanno strumenti materiali ed economici di prevenzione e ripresa, e coloro, i nostri figli, che non hanno il potere di intervenire per assicurarsi un futuro dignitoso.

Non solo. Pensare a una “giusta” transizione ecologica significa anche pensare che chi non ha certezze del proprio domani, per assenza o scarsità di mezzi e risorse, difficilmente potrà preoccuparsi dei prossimi dieci anni che, come sappiamo, saranno determinanti per il futuro del pianeta.

È allarme, quindi, ma l’allarme non basta. A chi amministra il compito di renderlo un’occasione di rilancio per ripensare radicalmente i nostri modelli economici e sociali con trasformazioni rigenerative che vadano incontro anche alle esigenze di tempo, cura, relazione delle persone. 

Esigenze molto sentite, forse (e purtroppo) più degli allarmi, e che non ricevono adeguate risposte né dalla struttura funzionale delle città (spostamenti quotidiani e frenetici tra zone di uffici, zone residenziali e zone di servizi) né dai sempre più diffusi sistemi di delivery ed e-commerce che ci fanno risparmiare tempo al costo di aumentare solitudini, diradare le reti sociali e incrementare notevolmente l’inquinamento veicolare. Strutture, entrambe, non conciliabili con gli obiettivi ambientali.

Se è vero che le nostre città sono la principale causa, è anche vero che possono essere la migliore soluzione, se accompagnata da misure di sostegno e riconversione condivise e da un ripensamento complessivo dell’urbanistica della città, superando l’annosa questione centro-periferie con la nascita di nuove e differenziate prossimità diffuse.

A Bologna, negli ultimi anni, molto si è mosso, ma altrettanto resta da fare. Scelte politiche e amministrative a tutela dell’ambiente sono la base dei nuovi piani approvati dal comune: urbanistico (Pug), di mobilità sostenibile (Pums) e per l’energia sostenibile e il clima (Paesc). A riprova che parlare di sostenibilità non basta e che serve una vera transizione che attraversi tutti gli ambiti delle politiche pubbliche e gli aspetti della vita delle persone: dalla moltiplicazione delle aree verdi (che significa parchi ma anche fitte e diffuse alberature in città), alla drastica riduzione degli spostamenti veicolari, alla realizzazione di quartieri a zero impatto ambientale partendo dai regolamenti edilizi (il settore civile pesa circa il 70% in termini di emissioni) e da una nuova cultura dei rifiuti che ci veda impegnati soprattutto nel diminuirne la produzione.

Un’altra importante scelta politica è stata l’approvazione della “Dichiarazione di emergenza climatica”, promossa dai movimenti per il clima, grazie alla quale sono state introdotte nello Statuto comunale le assemblee cittadine per il clima. Uno strumento di democrazia deliberativa importantissimo, perché le politiche coraggiose e incisive che ci aspettano dovranno essere accompagnate da un confronto consapevole e dalla capacità dell’amministrazione pubblica di mobilitare l’intelligenza collettiva.

Un’amministrazione pienamente all’altezza dell’obiettivo dovrà saper mettere a sistema gli importanti strumenti “settoriali” già realizzati, proponendo alle cittadine e ai cittadini non solo di arrestare la deriva ambientale, ma di incamminarsi insieme verso un nuovo e desiderabile orizzonte. 

Un orizzonte in cui la prima missione di un amministratore sia quella di creare e preservare le condizioni ambientali e sociali che favoriscano la nascita e il rafforzamento di comunità locali sostenibili, radicate nei territori e connesse globalmente. In cui si creino le condizioni affinché gli spostamenti siano una scelta, non un obbligo; i consumi accessibili a tutti e di qualità, non di quantità; le strade e gli spazi urbani democratici perché vissuti in tutte le forme che la comunità vorrà restituirgli; i servizi vicini alle persone. Un orizzonte in cui ci si potrà riappropriare di un diritto che ci è stato tolto, il diritto al tempo. Tempo da investire per sé e per la comunità.

Disegnare e impegnarsi insieme per questo orizzonte – raggiungibile ma ancora tutto da costruire – significherà affrontare la transizione ecologica partendo dai bisogni e dalle aspirazioni delle persone, dotandole delle giuste condizioni materiali, sociali e culturali. Significa rendere le politiche ambientali delle politiche che le persone possano, e a ragione, sentire come proprie. Rendendole tutte protagoniste di un nuovo slancio collettivo. Ecco, uno slancio e un nuovo orizzonte. Il tempo è poco, ma è questo che servirebbe oggi.

Photo credits: nirtz fotografers (CC BY-NC-ND 2.0)


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