Quell’ “oscuro oggetto”: la critica è sparita

In mostra alla Gallleria Più, “Vulv’are” di Concetto Pozzati espone un ciclo di tele inedite dedicate al tema della vulva e delle sue implicazioni culturali. Ma tra antichi cliché e pur giuste lodi all’artista, la critica scivola verso una passività che non dovrebbe competerle. Quand’è che il mondo intellettuale ha smesso di essere radicale?

di Sarah Abdel-Qader, operatrice culturale


Capita a due giovani donne di visitare presso Gallleria Più la mostra Vulv’are di Concetto Pozzati, progetto inedito del 2015-2016 e mai esposto finora. Il ciclo di tele e disegni è arricchito da elementi grafici realizzati da Gabriele Colia. 

Mossi i primi passi, davanti a bellissime vulve di ogni forma e colore, non possiamo però fare a meno di alzare gli occhi al cielo. Ci risiamo: la vulva come Origine del mondo, come desiderio, come torpore erotico. I simboli grafici richiamano nella nostra memoria la simbologia medievale dell’occhio sul e del mondo e quello della fessura (v. penetrazione). La vulva, questa strana e magica entità misteriosa. Per gli uomini. Per il loro piacere. Per la loro visione e creazione del mondo. 

Nel 2021, nei giorni in cui ci coglie la morte della grande scrittrice femminista bell hooks, ci aspettavamo qualcosa di più. Pare evidente che la donna, e il suo corpo, sono ancora una volta presentati come oggetto del desiderio maschile, e rappresentati da quel male gaze di cui sembriamo essere prigioniere per sempre. Il femminile creato dal maschile. Il femminile passivo.

Dopo la mostra mi documento. Rimango sorpresa: non trovo articoli che problematizzino il tema della mostra e la sua presentazione. Tuttei a lodare il “Maestro”.  Ipse dixit! Certo Pozzati, grande artista indubbiamente, era un uomo del suo tempo – così mi direbbe una saggia insegnante. Tuttavia, quello che mi colpisce è la mancanza di dibattito, la mancanza di critica

Spesso ciò che viene presentato come approfondimento critico sembra non avere molto di “critico”, e questo porta a chiedersi quale sia il concetto di scritto critico e cosa si intenda esattamente. E ancora, qual è il ruolo della critica d’arte, quale quello di operatorei culturali e intellettuali? Riportare l’evidenza è abbastanza? 

Quand’è che il mondo intellettuale ha smesso di essere radicale? (Se lo è mai veramente stato). La classe intellettuale non ha forse il dovere di sfidare la realtà, ri-contestualizzarla, non accettarla per come è, ma cercare di immaginare, “visionare” e “re-visionare” nuovi mondi possibili, al di là di una presunta élite culturale? Entrare nel campo dell’attivismo, promosso da un pensiero critico e militante. 

In questo caso ad esempio, non mettere in discussione – tra i tanti temi qui presenti – l’essenzialismo che trasuda da una tale opera è problematico, in quanto perpetua inconsciamente nell’osservatore l’idea che la donna è per natura oggetto di desiderio e madre, e che dunque la maternità, essendole connaturata, la definisca, la faccia essere in senso fisico, psicologico e spirituale. Che la vulva sia la sua essenza, la sua identità. 

Vulvocrazia vs Fallocrazia dice il Maestro, ma oggi è nostro compito superare questa opposizione dualistica, anche se vuol dire criticare chi adoriamo e veneriamo. È nostro compito offrire nuove visioni. 

Un’altra occasione mancata di esercizio di pensiero critico si leggeva ad esempio anche mesi fa su una nota rivista di arte e cultura. L’articolo cita “nel 1600 il 90% della popolazione indigena del nuovo mondo [già questa denominazione colloca chi scrive] scomparve e ciò rese facile la colonizzazione”. Pouf! Non sapevamo che le popolazioni potessero scomparire in un batter d’occhio, per mistero! Non avrebbe dovuto dire lo scrittore che la popolazione autoctona fu sterminata secondo un piano sistematico di genocidio per mano di colonizzatori maschi suprematisti europei? Le parole hanno un loro peso specifico: il loro significato. Abusare delle parole dovrebbe essere considerato un crimine. La lingua è politica.

Riporto questi episodi per lanciare un appello a decolonializzare – per dirla con Rachele Borghi – il pensiero e le pratiche culturali. Un appello a lasciare che le idee siano aperte e si contaminino, che siano interrogate, schivando i dogmi, anche nell’estetica. A cominciare dalle realtà della nostra città: università, luoghi della cultura, intellettuali, istituzioni, enti privati. Perché per essere la città più progressista d’Italia – sic – non basta dirlo: bisogna esserlo.


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