Auguri, Bologna: che tu non perda il tuo sorriso

Cara amica ti scrivo: sei una delle città che meglio hanno retto gli spaventosi anni Dieci del 21/o secolo ‘ma qualcosa ancora qui non va’, diceva il tuo cantante più famoso. Non ci sono sacchetti di sabbia vicino alla finestra. La sera nonostante il Covid si esce ancora. Ma l’amabilità dei bolognesi sembra che si stia un po’ perdendo. Trovare un sorriso nei passanti era la regola, ora è l’eccezione. C’è un’aggressività diffusa mai vista prima. Non perdere l’anima di luogo cordiale e solidale

di Giampiero Moscato, direttore cB


Cara Bologna, sono 63 anni che ti abito e ti amo moltissimo. Ora che l’anno finisce non ti faccio solo tanti e affettuosi auguri ma provo a spiegare cosa spero per te, intanto dal 2022.

Sono il primo bolognese della famiglia, tant’è che mio padre – da buon meridionale più legato all’onomastico che al compleanno – avrebbe voluto chiamarmi Petronio. Sulla spinta di mamma i coniugi Moscato optarono per un più sostenibile Giampiero, anche se quasi mai mi sono stati fatti gli auguri nei giorni di San Giovanni o di San Pietro. A San Petronio manco a parlarne.

Furono le tragedie della guerra a determinare la mia nascita in questo luogo così bello: la mamma, giuliano-dalmata, fu costretta all’esilio dalla sua Fiume dopo l’annessione di quelle terre all’ex Jugoslavia. Quella stessa Jugoslavia dove papà fu mandato (anche se in altra enclave) da Vittorio Emanuele III e da Mussolini a combattere la più ingiusta delle guerre, per non fare più ritorno nella sua Napoli. Si conobbero a Novara, migranti di guerra. Poi furono trasferiti a Bologna: «Questo è il luogo giusto dove far crescere i figli», pensarono.

Ci ho messo trent’anni a capire quanto avessero ragione: da giovane ero insofferente, avrei voluto andar via. Facevo fatica a capire il dialetto, non mi sentivo del tutto accettato. È anche vero che, come disse l’ex Rettore Ivano Dionigi alla ReUniOn – il primo raduno mondiale dei laureati dell’Alma Mater nel giugno 2015 – si diventa cittadini di Bologna in due modi. Per nascita (ma se sei di prima generazione non è così ovvio) e per laurea. Diventare dottore sotto le due torri, anche se vieni dall’altro capo del mondo, rende petroniani come se si fosse nati da una coppia di Piazza Cavour. Una pergamena di via Zamboni 33 vale come un certificato di Palazzo d’Accursio. In tanti, dopo l’università, fanno di tutto per restare.

Ma c’è qualcosa in più che mi fa sentire bolognese fino al midollo, come se fossi un incrocio tra un tortellino e una zucchina ripiena. È la straordinaria capacità di fare rete che ha la gente che ti abita, cara Bologna. Che forse qua non si nota più tanto, ma che altrove nemmeno si immagina cosa sia. C’è un’attitudine a non entrare in conflitto con chi ci sta accanto ma piuttosto a cercare il metodo per mettere a sistema le differenti esigenze per rendersi reciprocamente più solidi.

Non è un caso che qui siano sorte e cresciute le cooperative. Che il MamBo si trovi in quello che fu il gigantesco forno del pane pensato dal sindaco Zanardi per sfamare la gente messa in miseria dalla prima guerra. Che esistano l’Opera Marella e le Cucine Popolari. Gli esempi di un modus solidale sarebbero tanti. Mi preme dire che, quando provai a stabilirmi altrove, vidi come non ci fosse la stessa accoglienza: se le pari opportunità da te sono ancora da raggiungere, in altre zone sono un miraggio. Altrove per vivere bisogna spesso dover chinare la testa.

Ed è qui che mi spenderò per augurarti il meglio, Bologna bella. Ovviamente che tu cresca ordinatamente. Che sia sempre più uno dei luoghi migliori dove vivere. Che l’occupazione (quella stabile: le false partite Iva non possono accedere a un mutuo) raggiunga i livelli altissimi che ti competono. Che la delinquenza sparisca, con i mali che comporta. Che i cantieri che partono non mettano in crisi la convivenza.

Sei una delle città che meglio hanno retto gli spaventosi anni Dieci del 21/o secolo «ma qualcosa ancora qui non va», diceva il tuo cantante più famoso. Non ci sono sacchetti di sabbia vicino alla finestra. La sera nonostante il Covid si esce ancora. Ma l’amabilità dei bolognesi, quella che mi ha fatto innamorare, sembra si stia un po’ perdendo. Trovare un sorriso nei passanti era la regola, ora è l’eccezione. C’è un’aggressività diffusa mai vista prima.

Ecco allora il mio augurio più sentito. Non perdere la tua anima di città gaudente ma perbene, gioviale e solidale. Io proverò a fare la mia parte.

Buon 2022, Felsina-Bononia-Bologna.

Photo credits: Petr Slováček


3 pensieri riguardo “Auguri, Bologna: che tu non perda il tuo sorriso

  1. Complimenti sinceri al dr. Moscato che si conferma narratore sempre assai ispirato.
    Per parte mia, pur non essendo bolognese, secondo i canoni indicati dal Prof. Dionigi (essendo io nato e laureato altrove), in qualche misura sento di appartenere a questa comunita’.
    Buon anno a tutta la redazione del Cantiere e ai suoi lettori.
    Valter Giovannini

  2. Da bolognese di provincia (area metropolitana per essere moderno) trovo la descrizione della nostra città come un elzeviro totalmente meritato. Buon Anno Rino

  3. Caro Giampiero, da bolognese al cubo, per nascita, ma soprattutto per laurea, ma ancor di più per scelta di vita, apprezzo e confido in pieno i tuoi auguri alla polis. In tale impegno e convinzione suggerisco all’autorevolezza del vecchio giornalista ed amico di continuare , nello spazio del CdB,a cercare e trovare idee ed iniziative per l’ “anima” bolognese. Auguroni
    Andrea Fornasari

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