La cara vecchia radio compie settantasei anni ma non li dimostra

Intima, amica, funzionale. Ma anche divertente, stimolante e sempre in trasformazione. Oggi si festeggia la Giornata mondiale interamente dedicata a lei, una ricorrenza istituita nel 2011 dall’Unesco che lo ha considerato un mezzo fondamentale per la democrazia e la libertà. Il primo segnale via etere lo mandò oltreoceano il genio bolognese Guglielmo Marconi. Era una lettera s dell’alfabeto Morse

di Medea Calzana, giornalista


Ma perché proprio il 13 febbraio? Perché settantasei anni fa, precisamente il 13 febbraio 1946, è stato trasmesso il primo notiziario radio delle Nazioni Unite che cominciava così: «Qui, sono le Nazioni Unite che parlano ai popoli di tutto il mondo»

Da allora è passato del tempo, ma la radio continua a reinventarsi e, nonostante la massiccia presenza della televisione e del web sia nel mondo dell’intrattenimento che dell’informazione, è ancora qui con noi. Podcast e webradio sono solo alcuni esempi dei nuovi modi che la voce ha di farci compagnia. La radio è, anche oggi, uno tra i media di comunicazione più efficace, ma anche più equo. Anche nell’era digitale, è infatti in grado di garantire l’informazione anche alle popolazioni che sono duramente colpite dalla piaga dell’analfabetismo.

«La radio è uno strumento in grado di superare grandi distanze e di regalare una sensazione di presenza. Si dice che la radio sia nata grazie a Guglielmo Marconi nel 1895, in realtà agli inizi era un telegrafo senza fili, non ancora capace di trasmettere la voce. Il vero cambio di passo, il momento cioè in cui la radio diventa pienamente medium, ovvero mezzo di comunicazione di massa, è negli anni ’20 quando è il primo tra i mezzi di comunicazione ad adottare quella modalità che chiamiamo broadcasting. Che significa mandare lo stesso messaggio, suono, parlato contemporaneamente a un pubblico vasto», spiega Luca Barra, professore associato presso il Dipartimento delle Arti all’Alma Mater di Bologna.

La radio ha contribuito a costruire le comunità nazionali: all’interno di un territorio anche molto ampio, infatti, molte persone contemporaneamente hanno la possibilità di accedere alle stesse informazioni e allo stesso tipo di intrattenimento. Chiaramente tutto ciò ha aspetti positivi e negativi: «La radio, nei sistemi democratici, ha avuto e ha ancora oggi una funzione di collante di un’unità nazionale, di partecipazione informata al processo democratico. Nei paesi totalitari però, per esempio negli anni ’20 e ’30 del secolo scorso, è stata anche impiegata come strumento di propaganda», riflette il professor Barra.

Nel corso della storia la radio è entrata, quindi, a fare parte della quotidianità delle persone in tutto il mondo, anche grazie al fatto che è un mezzo agile: si può tenere di sottofondo e nel frattempo fare molte cose, come guidare, per esempio. Cosa che non è così per altri mezzi di comunicazione che usano la parola scritta. 

Ma l’avvento del web, che sembrava segnarne il definitivo declino, ha invece saputo dare nuova linfa alla radio che ha saputo sfruttare le nuove possibilità di connessione con podcast e streaming.

«La radio persiste e resiste e continua a essere decisamente importante lungo tutti i decenni della sua storia e anche oggi. E questo perché la radio è sempre cambiata – sottolinea Barra – È nata come telegrafo senza fili, è diventata lo strumento del focolare domestico, ma poi è si è trasformata anche in uno strumento personalizzato e giovanile, mobile che si può mettere in auto e ascoltare mentre si viaggia. E poi, infine, è diventata uno strumento digitale. La radio si è ripensata tante volte non appena il suo posto veniva occupato da qualcos’altro e questo ne ha garantito la sua lunga durata».

L’articolo di Medea Calzana è stato realizzato per la rivista di CUBo – Circolo Università di Bologna, diretta da Massimiliano Cordeddu


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