Graziella Fava, è ora di dire la verità

La donna fu uccisa nel 1979 durante un attentato alla sede del sindacato giornalisti. Non si sono mai trovati gli autori. Istituzioni e magistratura hanno il dovere di sollevare un po’ di tutto quel fumo che si è colpevolmente lasciato depositare su questa vicenda. I documenti giudiziari sono spariti, ma in tanti in città sanno cosa è successo quel giorno e chi fu a dar fuoco all’Asem

di Serena Bersani, giornalista


Lo scheletro carbonizzato di una macchina per scrivere è tutto ciò che resta della vecchia sede dell’Asem, il sindacato dei giornalisti di Emilia-Romagna e Marche, che nel 1979 aveva sede a Bologna in via San Giorgio.

Il 13 marzo di quell’anno un commando, che poi rivendicò l’attentato con la sigla “Gatti selvaggi”, entrò nella sede con il proposito di compiere una strage: chiuse nel bagno i due presenti (il segretario dell’associazione e la vedova di un giornalista che era andata per sbrigare delle pratiche) e diede fuoco agli uffici con una bomba al fosforo. I vigili del fuoco riuscirono a portare in salvo dai tetti i due sequestrati e la signora che viveva al piano di sopra con l’anziana madre inferma. Con loro, a prodigarsi per salvare l’ammalata, c’era anche una collaboratrice domestica di 49 anni, che rimase uccisa dalle esalazioni. Il suo nome è Graziella Fava, eroina involontaria e vittima inconsapevole.

Graziella Fava

I giornalisti, che erano il vero bersaglio di quell’attentato, non la dimenticano. Anche domenica scorsa, da 43 anni, ne hanno rinnovato la memoria lasciando fiori nel giardino a lei intitolato.

Ma non è per ricordare una vicenda molto volutamente dimenticata a Bologna (per dirne una, la targa posta nel giardino – come ha correttamente osservato l’altra mattina l’assessore regionale alla Cultura Mauro Felicori – riporta solo la data di nascita e di morte senza dire chi era e perché è morta Graziella Fava) che scrivo. Credo che questa città, i giornalisti in primis, ma anche le istituzioni e la magistratura abbiano il dovere di sollevare un po’ di tutto quel fumo che si è colpevolmente lasciato depositare su questa vicenda.

Gli autori dell’omicidio non sono mai stati individuati, anche perché chi sapeva ha sempre taciuto. L’inchiesta finì in un niente di fatto, malgrado l’esistenza di un fascicolo corposo che oggi non si riesce nemmeno più a reperire. Non si trova in Tribunale, non si trova all’Archivio di Stato, non se ne trova più copia nemmeno negli archivi dell’Ordine dei giornalisti e dell’Aser. Già questo aspetto contribuisce a rendere inquietante il silenzio calato sulla vicenda. 

L’attentato in cui morì Graziella Fava (e che non fu l’unico quel giorno contro giornalisti bolognesi: fu appiccato il fuoco anche alla porta di casa di un giornalista dell’Avanti e a uno del Carlino) venne fatto per contestare la narrazione da parte della stampa dell’epoca del conflitto a fuoco in cui rimase uccisa, a Torino, l’esponente bolognese di Prima Linea Barbara Azzaroni.

Una settimana prima del 13 marzo 1979 si erano svolti in città i funerali della terrorista a cui parteciparono duemila persone. Molti di loro sono ancora vivi e tanti sanno come andarono le cose in via San Giorgio. I “Gatti selvaggi” sono sempre stati considerati uno dei tanti gruppuscoli che gravitavano attorno a Prima Linea, malgrado i leader di quel movimento – a cominciare dal dissociato bolognese Maurice Bignami – ne abbiano sempre preso le distanze collocandoli sotto al comodo e ipocrita ombrello dello spontaneismo. 

Per chi non ha vissuto quell’epoca, può sembrare assurda la ferocia di quegli anni contro i rappresentanti dell’informazione, ma l’attentato di via San Giorgio fu solo uno dei tanti attacchi terroristici ai danni di giornalisti, in un’escalation che culminò un anno dopo con l’omicidio a Milano di Walter Tobagi, firma del Corriere della Sera e presidente dell’Alg, il sindacato lombardo dei giornalisti.

So che dire “chi sa parli” oggi non serve a niente, se non sono bastati più di quarant’anni a sollevare qualche moto di coscienza e di vergogna. Non c’è riuscita la magistratura, non ci sono riusciti gli storici del terrorismo a fare luce sulla vicenda. I giornalisti, credo, hanno il dovere professionale di provarci ancora, e ancora, e ancora.

Chi vuole contattarmi può trovare facilmente i miei recapiti, chi ha qualcosa da raccontare lo faccia. Per la propria dignità, soprattutto.


3 pensieri riguardo “Graziella Fava, è ora di dire la verità

  1. Parole oneste e giuste. Temo però che, come per i basisti dell’omicidio Biagi, giustizia non sarà fatta.

  2. Bravo Mauro Felicori a ricordare la tragica morte di Graziella Fava e grazie a Simona Bersani per il suo appello. Personalmente rimango pessimista. A Bologna, ancora oggi, l’area grigia fiancheggiatrice della violenza di sinistra è ancora ben presente. Temo che non parlerà nessuno.

    In occasione di un altro anniversario di un’altra morte, pure quella ingiusta – quella di Francesco Lorusso ucciso in uno scontro con le forze dell’ordine nel 1977 – ho letto una copiosa messe di commenti celebrativi, non certo per la morte di un giovane, ma espressione di quell’area grigia giustificazionista e di appoggio delle ribolliture e dei miti di una sinistra che, per la verità, si trova a suo agio nel clima attuale della “città più progressista d’Italia”.

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