L’eco della cetra

Non dovremmo liquidare Ardeni e Palma come semplici polemici dell’Agorà, ma integrare la loro critica radicale nel costante sforzo collettivo di perfezionare l’economia e la società in cui viviamo

di Andrea Garreffa, co-fondatore di 6000 sardine


Caro Giampiero, le tue parole mi hanno fatto sorridere ma penso tu sia stato troppo severo e sarcastico con Marco e Pier Giorgio. Credo che nessuno dei due abbia mai sperato nella resurrezione di Platone per guidare la turrita Bologna. E immagino che entrambi ripongano nell’eco della cetra molte meno attese di quelle che dipingi.

Secondo me potremmo concordare tutti sul fatto che troviamo stucchevole, quantomeno sul piano comunicativo, il “modello Bologna” quando si riproduce come vuota celebrazione di sé stesso, specialmente se accompagnato dal titolo «la città più progressista d’Italia». Un modello che osanna sé stesso è debole per definizione. Una città, una persona, un’idea che deve essere sempre “la più” porta allo scoperto una sua fragilità e «il ghigno e l’ignoranza dei primi della classe» (cit. Guccini).

Il tentativo di riprodurre il “modello Bologna” su scala nazionale, ovvero l’ambizione di creare il famoso “campo largo” che offre maggiori chances numeriche di governo, è fallito pochi giorni fa con la fuoriuscita di Calenda dalla traballante alleanza. Credo che questo sia un bene. Per la sinistra, per l’Italia e per la messa a terra del Pnrr. Per la sinistra perché potrà provare a consolidare un’identità propria che non rappresenti un compromesso al ribasso; per l’Italia perché il principio democratico basato sull’alternanza avrà finalmente occasione di svolgersi su un piano politico definito in modo piuttosto netto; per il Pnrr perché il Pnrr di Calenda se ne infischia.

Giampiero, tu scrivi che «prima della sovrapproduzione di CO2 si moriva di fame e si viveva la metà di adesso». Per quanto sia chiara l’iperbole provocatoria, mi preme comunque segnalare che quanto affermi non è vero. O meglio, non è grazie alla sovrapproduzione di CO2 che ora abbiamo tutti la pancia piena e viviamo il doppio. E se anche fosse vero, il fatto che noi viviamo il doppio e chi verrà dopo magari non vivrà proprio, ci dovrebbe far riflettere e mettere in discussione anche le nostre convinzioni più radicate, persino i nostri vanti domestici come la Motor Valley. Non ho alcun interesse nel demolire le eccellenze emiliane. Mi interessa piuttosto evidenziare la tensione tra economia ed ecologia, che non merita di essere liquidata con una battuta. Al contrario, questa tensione dovrebbe stimolare la Motor Valley stessa a reinventarsi mostrando coraggio, lungimiranza e visione. Se davvero noi emiliani amiamo la velocità, perché non tradurla, oltre che in gare su pista, anche sul piano dei valori e del cambiamento di abitudini e convinzioni consolidate? La vera sfida sta nel non riprodurre le storture del capitalismo proponendole in salsa green.

Nel 2010 scrissi una tesi sulle prime comunità solari che nascevano nel Comune di Bologna. Nel sottotitolo riportavo il nocciolo problematico della questione: “Analisi critica del potere locale in relazione alla crisi sistemica di società e modelli di sviluppo”. Le riflessioni di allora mi offrono lo spunto per risponderti nel merito di alcuni punti.

Tu affermi che «non esiste un’energia pulita» e che «senza energia il mondo esploderebbe peggio di quanto non stia bruciando adesso». Dal mio punto di vista entrambe queste affermazioni sono errate, checché si pensi del “modello Bologna”. Modi per produrre energia in modo “pulito” esistono. Quanto all’esplosione della terra, non esageriamo.

Carbone e petrolio da bruciare o atomi pesanti da fare a pezzi sono sporchi. Vuoi per la CO2, le polveri sottili o le scorie radioattive. Trasformare vento e sole in energia elettrica non porta invece al rilascio di polveri o gas. Questi processi si possono dunque dire “puliti”, ma presentano certamente la sfida della quantità di energia prodotta e del suo stoccaggio. Le batterie, è vero, non sono a impatto zero (il litio non cresce sugli alberi) e il rischio è che la loro diffusione finisca solo per nascondere lo sporco sotto il tappeto. La buona notizia è che non esistono soltanto le batterie. Esiste l’elettrolisi per ottenere l’idrogeno ed esistono le dighe e le pompe per l’energia idro-elettrica (per chi volesse approfondire: www.nant-de-drance.ch). Insomma, le soluzioni tecniche esistono. Domanda: esiste invece la volontà politica, la disponibilità delle masse e di interi settori industriali al cambiamento?

Tu chiedi «quali poteri hanno i governi di Viale Aldo Moro e Palazzo d’Accursio per risolvere i disastri del Pianeta?». Domanda legittima e che interroga la solitudine dei singoli nell’affrontare sfide globali talmente grandi da spianare la strada al senso di impotenza. Mi vengono in mente tre risposte sintetiche, per nulla esaustive, ma almeno orientate all’ottimismo:

1) Introdurre incentivi economici per premiare comportamenti virtuosi dei cittadini volti alla riduzione e riorganizzazione dei consumi, sfruttando risorse del Pnrr o altre, da reperire.

2) Ridurre i consumi di tutti gli uffici pubblici e di tutte le scuole avviando massicci piani di efficientamento energetico. I luoghi dell’amministrazione e di trasmissione della conoscenza dovrebbero fungere da traino e da esempio per la società di domani nella quale ci immaginiamo di vivere.

3) Stringere collaborazioni sovranazionali, magari proprio con le tue Vancouver, Oslo e Ginevra, per scambiare idee, buone pratiche e tecnologie… Perché le singole gocce non restino tali ma comincino, assieme, a favorire l’inversione della marea.

Sul tema dei semiconduttori, che sollevi di sfuggita, si stanno giocando partite epocali e questo te lo concedo: c’è poco che Bonaccini e Lepore possano fare. Anche loro saranno schiacciati dal progresso tecnologico e dalle contraddizioni intrinseche del capitalismo che fatica a scendere a patti coi principi ecologici. Kenneth Boulding scriveva: «chi crede che una crescita esponenziale possa continuare all’infinito in un mondo finito è un folle, oppure un economista». Questo quarto punto suggerisce un altro corso d’azione auspicabile: non liquidare Ardeni e Palma come semplici polemici dell’Agorà, ma integrare la loro critica radicale nel costante sforzo collettivo di perfezionare l’economia e la società in cui viviamo.

Photo credits: Pawel Czerwinski


4 pensieri riguardo “L’eco della cetra

  1. Grazie per queste considerazioni preziose, che propongono e stimolano una discussione sul merito dei problemi. Se i policy maker smettessero di dedicare tanto tempo alla politica “pret a’ porter” fatta di comunicazioni social e di stringati twitter, potremmo sperare in un futuro migliore. Il tempo per la riflessione e la costruzione di strategie è adesso …

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