Una sola Ausl per Bologna metropolitana? Alcuni dubbi

«Non è una contestazione alla proposta di Lepore di puntare a un’unica grande azienda sanitaria a livello metropolitano. La mia è una provocazione: se la soluzione passasse attraverso la vastità delle proporzioni, allora meglio puntare a una mega Asl da Piacenza a Rimini. Ma qui sta il punto: entrano in ballo aspetti di Storia (con la S maiuscola), identità e rapporti con le popolazioni del territorio, e il vizio di certi “teoremi gestionali” è quello di non tenerne assolutamente conto»

di Angelo Rambaldi, Bologna al Centro – “L’Officina delle Idee”


Per la sanità pubblica l’idea che la grande dimensione delle Aziende sanitarie (Asl e Aziende ospedaliere) sia una sorta di panacea per l’efficienza e il risparmio è una idea molto vecchia, anzi vecchissima. Che fino a un certo dimensionamento ha pure funzionato. Si pensi che all’inizio del Servizio Sanitario, nell’allora area provinciale bolognese vi erano dieci Asl. La mia non è una contestazione alla proposta del sindaco Matteo Lepore di puntare a un’unica grande azienda sanitaria a livello metropolitano, che per altro ha trovato favorevole il rettore, Giovanni Molari. Esprimo solo forti dubbi.

Alla fine la dimensione provinciale attuale rappresenta, a mio giudizio, un buon assetto. Pure con qualche eccezione. Perché, innanzi tutto – ed è il caso della Asl di Imola – non si può e non si deve maneggiare la sanità come se fosse una impresa industriale, ignorando la storia e l’identità dei territori. Anche perché, e qui entro nel tema, non è che poi la “piccola” Azienda imolese (che non è un’isola, anzi è in sinergia con Bologna) vada male e non soddisfi i cittadini.

Ma torno sul teorema secondo cui «grande è funzionale ed efficiente». Come prima osservazione segnalo, e ricordo, che tutte le Asl e le Aziende ospedaliere, da tempo, hanno già unificato una serie di servizi. Quello che però, a mio giudizio, continua a mancare è una seria verifica se tutte queste unificazioni di servizi alla prova dei fatti si siano rivelate efficaci ed efficienti, sia per i cittadini sia per gli operatori sanitari.

Vi è poi, fra i tanti altri, un ultimo aspetto sulla costituzione della Asl “unificata”. Il Policlinico Sant’Orsola è una Azienda ospedaliera autonoma, con uno status particolare nell’attuale quadro legislativo per i Policlinici universitari. Nell’Azienda Sant’Orsola-Malpighi operano ovviamente anche medici e dirigenti ospedalieri, non solo universitari. Ho un mio personale dubbio e timore: ovvero che una parte del corpo medico del Maggiore non veda di buon occhio una mega Asl con all’interno Sant’Orsola Malpighi-Maggiore-Bellaria. Sono storie antiche ma sempre attuali, e spesso non risolte. Si potrebbero risolvere, ma per riuscirci bisognerebbe prima conoscere.

Osservo infine, la mia è una provocazione (ma non troppo): se la soluzione passasse attraverso la vastità delle proporzioni, allora si passi a una unica mega Asl da Piacenza a Rimini. Ma qui sta il punto: entrano in ballo aspetti di Storia (con la S maiuscola), identità e rapporti con le popolazioni del territorio. Il vizio di certi “teoremi gestionali” è quello di non tenerne assolutamente conto.

Photo credits: Ansa.it


4 pensieri riguardo “Una sola Ausl per Bologna metropolitana? Alcuni dubbi

  1. Non sapevo della proposta di Lepore, che se ben ricordo, è l’autorità sanitaria di Bologna.
    E non so neppure dire qualcosa sulle osservazioni di Rambaldi che ringrazio per avere parlato pubblicamente, anche lui è di “vecchia scuola”.
    A parte questo, a me pare che il problema vada preso dal basso: quanto serve tale soluzione per risolvere alcuni problemi sempre più drammatici? Di questo si dovrebbe si discutere per sapere: 15/20 ore di attesa al pronto soccorso, medici di base che riesci a incontrarli dopo prenotazione a più giorni, attese per prestazioni sanitarie ospedaliere e sentirti dire da amici che con la visita in libera professione hanno trovato posto prima di te, attese par piccoli interventi di anni, la cataratta oramai te la puoi scordare a Bologna…
    Tutte cose che si sentono, si leggono e si sanno, dove sono gli assessori alla sanità, regionale e bolognese?
    Non credo che abbiano la bacchetta magica ma almeno farsi sentire, dire ai cittadini cosa stanno facendo per risolvere i problemi, incontrare le persone, anche al pronto soccorso, per fare capite che le istituzioni e le persone elette esistono; a volte penso Sassi o Bragaglia, assessori, o a persone come Rambaldi, che non si facevano raccontare le cose dai funzionari ma erano loro a dire a funzionari come stavano perché erano abituati a incontrare i cittadini e a discutere con loro, anche litigando.
    E forse così si recupera anche un po’ di credibilità che non oggi guasterebbe…
    Ugo Mazza

    1. Ugo Mazza , che saluto , ha ragione ma quello che lui dice e quello che si propone , dovrebbero stare insieme . Ugo Mazza mi scuserà ma so che lui non è di quella “scuola ; , anche in sanità a sinistra c’è un pò il limite di affrontare le questioni complesse ” illuministicamente” non tenendo conto di un aspetto. La vulgata dominante ci racconta , i media spesso la preferiscono , che le cose in sanità non vanno bene perchè esiste nella “selezione ” e nelle ” priorità” l’ingerenza politica e partitica . Questo , a volte , può succedere , ma succede spesso che le cose non vanno per il verso giusto( gli esempi non mancherebbero ) a causa delle pressioni , per carità pure legittime delle , chiamiamole con il loro nome ” lobby ” che pascolano nell’universo sanitario .Poi vi è un altro aspetto, che ripeto, i “teoremi” anche quelli caso mai giusti , non possono prescindere da aspetti “politici” nel senso alto del termine che nascono dai territori

  2. Il dibattito apertosi sull’iniziativa del Sindaco di Bologna di unificare a livello metropolitano le aziende sanitarie bolognesi è certamente appassionante e deve essere affrontato con molto realismo ben sapendo che si tratta di materia assai ostica.
    Diverse sono le variabili che sono insite in un simile progetto. In primo luogo c’è una variabile che potremmo definire professionale. Gli sviluppi che la medicina ha registrato in questi ultimi anni hanno radicalmente cambiato i profili professionali del personale sanitario, medico e infermieristico; specialità e super-specialità permettono approcci diagnostico-terapeutici sempre più sofisticati e ottengono risultati neppure immaginabili solo pochi anni or sono. Pensiamo solamente alla robotica, alla medicina di precisione, alla biologia molecolare applicata alla diagnostica ed altro. Condizione indispensabile per il conseguimento di tali risultati, però, è il numero di pazienti trattati dalle singole équipe specialistiche. L’accorpamento di più strutture ospedaliere/universitarie in una unica realtà consente ai vari gruppi di specialisti di raggiungere quei numeri di prestazioni considerati critici per garantire una elevata qualità. Un secondo fattore di criticità è quello logistico. La dislocazione dei singoli punti di eccellenza all’interno della nuova grande realtà sanitaria pone, inevitabilmente, una serie di problemi di mobilità che interessano sia i pazienti che per fruire di determinate prestazioni specialistiche devono spostarsi, sia il personale sanitario che potrà andare ad operare nelle diverse realtà. La relativa vicinanza dei diversi presidi e l’agibilità viaria rendono il problema di relativamente facile soluzione; questo ovviamente ci dice che il bacino di utenza deve essere contenuto entro i 2 milioni di abitanti. D’altra parte i costi di acquisizione e di gestione delle recenti attrezzature sanitarie impone di evitare inutili doppioni; si tratterà di distribuire equamente le varie specialità fra i diversi presidi seguendo assolutamente criteri di corretta gestione di politica sanitaria. Questo ragionamento ci porta ad identificare un’altra variabile che potremmo definire di economia sanitaria. Due esempi possono essere chiarificatori: il laboratorio analisi cliniche centralizzato che consente risparmi in materiale di consumo e di personale altamente qualificato e la centralizzazione della manipolazione dei farmaci ad alto contenuto tecnologico , e ad alto costo, che consente un notevole risparmio di farmaci molto costosi, quali ad esempio in moderni antitumorali.
    Attenzione però, facciamo tesoro delle esperienze passate e non ripetiamo errori già fatti: evitiamo assolutamente di fare una nuova struttura sanitaria ospedalo-centrica trascurando la sanità territoriale. Questa, con le sue strutture, peraltro previste dal PNRR, di case ed ospedali di comunità dovrà essere inserita in questo grande progetto, seguendo una filosofia di hub&spoke e utilizzando al meglio la sanità digitale
    Il processo sarà lungo e difficile, l’esperienza che abbiamo vissuto con la grande usl-Romagna che unisce Ravenna, Cesena, Forlì e Rimini, ciascuna realtà con altissimi campanili, è in piedi da più di 10 anni, sta funzionando ma non è ancora del tutto completamente a regime. Ma è una strada che deve essere percorsa con tenacia e chiaroveggenza.
    Maurizio Marangolo (Oncologo Medico – Ravenna)

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