Lettera 5 – Caro Arturo

di Pier Giorgio Ardeni, docente, saggista


Vi avevano preso, tu e i tuoi compagni, perché traditi nella fiducia che avevate dato a due uomini, che altro non erano se non informatori dei fascisti. Voi, che con grande ingenuità accoglievate tutti coloro che esprimevano un anelito di libertà – a sentire quella parola magica – vi eravate fatti convincere. E dire che eravate uomini fatti, e di esperienza. Ma loro, quella volta, erano stati furbi. Avevano arrestato il vostro Luigi Zoboli, che aveva combattuto in Carso, restando ferito, e che nel ’38 aveva aderito a Giustizia e Libertà ed era il vostro commissario politico. Così, i fascisti avevano proposto uno scambio tra lui e Giuseppe Ambrosi, quello squadrista che era stato rapito da “partigiani” e non eravate riusciti a sapere chi fossero. Era solo una montatura, per potervi catturare tutti. E così il 3 settembre 1944 vi avevano preso in ventidue, le menti migliori del Partito d’Azione a Bologna. E a molti di voi avevano cercato di estorcere, con la tortura, altre delazioni. 

Molti li portarono nella caserma delle brigate nere, in via Borgolocchi, mentre tu fosti trasferito all’Ufficio politico della GNR, fuori Mazzini. Massenzio Masia, il vostro capo, l’hanno preso in piazza Trento e Trieste. Tu e gli altri vi hanno preso in via Toscana, dove usavate riunirvi in segreto, hanno perquisito la casa, ti hanno preso le chiavi e i soldi e ti hanno accusato di mille cose gravi (ma non di diserzione, dicevi, che tu eri già in congedo, dal 1941). Poi, vi hanno portato tutti a San Giovanni in Monte. Hai scritto alla tua Rina, dicendole di stare serena, di abbracciare la vostra piccola Marisa. Le hai dato disposizioni, dove comprare sale, come riavere i tuoi soldi. Angosciato, senza sapere cosa ti sarebbe successo. 

Poi, il 19 settembre, il tribunale militare ha emesso la sbrigativa sentenza e ti ha condannato alla fucilazione, con altri sette dei tuoi compagni: Massenzio Masia, già legionario fiumano, avvocato, uomo di spicco del Partito d’Azione, quarantaduenne; Sarto Bassanelli, tenente in servizio, venticinquenne bresciano; Sante Caselli, che faceva l’inserviente al Sant’Orsola, quarantottenne bolognese; Mario Giurini, “marinaio”, italiano di Pola, diciannovenne; Armando Quadri, quarantasettenne bolognese, che aveva combattuto nella prima guerra ed era anche rimasto ferito, tra i primi aderenti a Giustizia e Libertà, già arrestato nel ’43; Pietro Zanelli, ufficiale anch’egli, ventiduenne di Bologna; Luigi Zoboli, bolognese cinquantenne (il più anziano del gruppo). I poveri Bassanelli e Zanelli saranno fucilati di schiena, perché rei confessi di aver contrabbandato armi; voi, farete fronte al plotone di esecuzione a viso aperto. E saranno gli uomini della squadra speciale del feroce Renato Tartarotti a fucilarvi il 23 settembre 1944 al poligono di tiro di via Agucchi.

Caro Arturo, tu, nato nella lontana Sicilia, ad Agrigento, a 36 anni dovrai morire a Bologna. Cosa avevi fatto per meritare la morte? Cosa avevate fatto tu e i tuoi compagni se non volere un paese libero e democratico, di «giustizia e libertà», dove il fascismo criminale non avesse più seguito? Alla tua piccola Mary, il tuo «topolino», hai scritto di ricordarti spesso e con orgoglio e lei lo ha fatto. Ricordando sempre le tue parole «è la politica che mi uccide, ma tuo papà non è stato ladro né assassino». Tu non hai pianto, e così hai chiesto di fare, a lei e alla sua mamma Rina, che tu hai tanto amato. La tua foto, che le hai chiesto di baciare per ricordarti, è ora esposta al sacrario di piazza Nettuno, tra i tanti che come te sono morti credendoci. Perché Marisa, Rina, e la zia Lea e Ivo, Franco e Cesca potessero vivere in un’Italia libera dal sopruso. E noi, caro Arturo, continueremo a onorare te e i tanti che come te sono caduti per questa povera Italia.

Rif. Arturo Gatto, “Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana”, Einaudi, Sesta edizione, 1955, pp. 170-3.


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