Nella bottega di via Emilia Ponente, Angelo Scialpi prosegue l’attività del padre con uno zelo antico che cerca di sopravvivere al mondo di gomma a basso costo e dell’usa e getta. Tra i suoi clienti diversi personaggi rossoblù, da Colomba a Frutti, da Luppi a Binotto, da Baggio a Signori e al presidente Saputo, ma anche Gianni Morandi. Questo artista del cuoio e della colla (chiedete a Beppegol cosa riuscì fare in 30 secondi) ebbe modo di regalare un paio di scarpe persino a Papa Francesco
di Vincenzo De Girolamo, giornalista
Le botteghe dei vecchi mestieri, come calzolaio, sarto, barbiere, si rivelano nella loro esistenza anche essere luoghi che hanno impregnato un alone di socialità. Sono state e lo sono tuttora, dove esistono ancora, posti adatti a disputare incontri, scambiare chiacchiere, luoghi in cui “le voci corrono” e non si resta soli. Sembrano zone in cui il “sentito dire” occupi lo spazio e porti dentro di sé un discorrere che non arriva mai a terminarsi da nessuna parte. Neanche la vista aiuta a trovare un inizio o una fine. «No signora mia. Non posso mettere un po’ di colla su questa riparazione. Se faccio questo, dopo due giorni è di nuovo qui. Devo cucire. Vede, lungo questo canaletto fatto a posta per le cuciture».
Se qualcuno è alla ricerca di una bottega da calzolaio a Bologna, lungo la via Emilia Ponente arrivando da Borgo Panigale alla fine della discesa del ponte sulla ferrovia Porrettana, sulla destra, può trovare quella di Angelo Scialpi, il “calzolaio matto”, così si definisce. Perché la sua «creatività deve servire a soddisfare le richieste del cliente», che potremmo definire anche proprietario di un bazar non solo della riparazione. Parcheggiata l’auto o arrivati a piedi al 312/c, si accede nel laboratorio bottega. Chi entra non deve pensare di individuare un deschetto, come elemento distintivo del mestiere, dove a essere contenuti sono i ferri da lavoro: lesina, trincetto, pinza perforatrice, levasemenze.
«Oggi il mio mestiere mi dà da vivere, ma è molto mutato da quando sono entrato nel negozio di mio padre una quarantina di anni fa. Lavorazione e materiali si sono trasformati anche in peggio. Ora a prevalere sono materiali di gomma, se vuoi tenere i prezzi accessibili alla popolazione del quartiere». Qui, attrezzi e forme di legno delle scarpe sono oggetti che si potrebbero dire da museo, buoni quasi solo per essere esposti nella porta vetrina della bottega che si apre all’arrivo. Chi varca la soglia, all’interno s’imbatte, posto al centro della piccola stanza, in un moloch di scarpe da riparare e riparate, una sorta di casbah impossibile da penetrare per chiunque cerchi le proprie calzature se non attraverso il “calzolaio matto” sicuro di individuarle. «È la memoria la soluzione del rebus delle scarpe richieste dai miei clienti. L’ordine che vedi è solo mio. Se qualcuno mi sposta qualcosa, sono finito».
Angelo è un cinquantenne dal carattere volitivo, ma con un entusiasmo prestato alla praticità fin da ragazzo, due occhi che possono diventare anche spiritati se qualcosa non gira dal suo verso, ma sulla bocca ha sempre a portata di labbra un sorriso. Prima di cominciare un lavoro, guarda il materiale della sua assistita, sia esso cuoio o altro. Poi le sue due mani prendono a muoversi sfiorando la calzatura come un massaggiatore su un corpo. Allunga le dita per la palpazione, proprio come un vecchio medico che cercava di individuare il problema di un malato durante una visita. Una volta individuato, mentalmente si fa la diagnosi prima di avviare la riparazione.
È un oriundo pugliese, terra da cui provenivano i suoi genitori di Locorotondo. Forse anche Don Milani alla fine delle scuole dell’obbligo avrebbe accettato la sua decisione. Confessa al genitore di non voler continuare ad andare a scuola, bensì imparare il mestiere del calzolaio e contemporaneamente coltivare la sua passione per il calcio sui campetti presenti nei paraggi di via Triumvirato, dove il padre aveva bottega e dove a inizio degli anni ottanta, in quella via, il Bologna calcio aveva appartamenti occupati da suoi giocatori, tra gli altri Franco Colomba, una presenza questa che aumentava i motivi di trasporto verso quella sua passione. Si sa poi, a volte come vanno a fine i sogni di un ragazzo, ma Angelo non si è scoraggiato quando ha deciso di appendere le scarpe al chiodo.
Nel corso del tempo la passione per l’arte pedatoria l’ha portato ad avvicinarsi al mondo rossoblù fino a diventarne, negli anni scorsi, accompagnatore delle squadre giovanili minori del Bologna Fc 1909. Un ruolo importante anche per il suo mestiere, visto che da lì in poi non pensa solo a fare riparazioni per le scarpe di gentil signori, signore e loro figli, ma di dedicarsi anche a prestare ascolto alle lamentele che i calciatori fanno alle scarpe da gioco, ingegnarsi a portarne modifiche adatte a soddisfare le loro esigenze, costruendo calzature da calcio comode.
Una sua prima trovata in tal senso è stata data dal “tacchetto misto”. Una cifra creativa che applica alle scarpe da gioco. «È così che sono riuscito a far stare in piedi i giocatori durante partite in cui il terreno era molto bagnato». L’elenco di chi si è rivolto a lui per usufruire dell’abilità costruttiva nel mestiere è lungo. Si passa da Colomba a Frutti, da Luppi a Binotto, da Baggio a Signori. A proposito di Beppe Signori racconta che un giorno, portatogli un paio di scarpe slabbrate nella punta gli lanciò una sfida in cui affermava l’incapacità di Angelo a fare la riparazione in trenta secondi. Beppe non sapeva che, mentre lui parlava, “il calzolaio matto” dietro gli occhi sgranati e un sorriso beffardo comparso sulle labbra, già ravanava con la mano di fianco al suo scranno per trovare il mastice da applicare. Fu un giochetto poi tenere stretta tra il pollice e l’indice la parte da riparare in meno di trenta secondi e riconsegnare la scarpa al calciatore.
La stravaganza del “calzolaio matto” ha portato anche in altre occasioni a confezionare scarpe da calcio non solo a Gianni Morandi o al presidente del Bologna Saputo, è arrivato a regalarne persino a Papa Francesco in occasione della visita fatta a Bologna. Oggi la sua ultima trovata lo avvicina alla figura dei calzolai d’un tempo, quando a fare le scarpe si andava anche nelle case dei contadini: tenere aperta la bottega solo al mattino per dedicare il pomeriggio a consegnare a casa dei clienti le riparazioni effettuate. Insomma, una figura questa del “calzolaio matto” che attraverso l’intagliare scarpe e parole porta a stati d’animo spesso dati per dispersi.
Photo credits: Marco Paglia
