Zamboni e la sua lapide meritano un posto giusto nella storia

«Caro direttore, invio al Cantiere la proposta di intitolazione di strade o piazze a due personaggi meritevoli: il Cardinal Bernardino Spada e il riformista illuminato Carlo Grassi. E torno a chiedere che dopo 95 anni la lapide che ricorda il quindicenne trucidato dai fascisti subito dopo l’attentato a Benito Mussolini sia posta sul palazzo davanti al quale avvenne il suo martirio»

di Angelo Rambaldi, “Bologna al Centro – L’Officina delle Idee”


L’epidemia di peste del 1630, quella dei “Promessi sposi” di Manzoni, ebbe a Bologna un grande protagonista per capacità, coraggio e pietà: il Cardinal Bernardino Spada.

Rimasto a Bologna per volontà di Papa Urbano VIII, all’arrivo del contagio, esponendosi personalmente a rischi altissimi, cercò di alleviare con gli strumenti medici allora conosciuti i drammi della popolazione.

Insieme al Senato cittadino furono individuati spazi per il lazzaretto: il principale subito fuori porta San Mamolo, nell’area della chiesa della S.S. Annunziata e dell’oggi scomparso convento di Santa Maria degli Angeli, di cui rimane la facciata dell’ex sede del Quartiere Colli. Il governo del lazzaretto era nella chiesa e convento, pure scomparsi, di San Girolamo ed Eustacchio, davanti all’Annunziata.

Dal 15 Giugno 1630 l’area fu recintata da un’alta palizzata. Divenne una città nella città, amministrata da personale religioso guidato dal gesuita Angelo Orimbelli, scelto dal Cardinale. Sulle cui spalle vi fu pure il problema delle risorse economiche necessarie per il lazzaretto.

Non vi sono dati certi ma sembra che le vittime in città furono 15.000, quasi un quarto della popolazione, e nel contado 18.000. A fine giugno 1631 Spada fu chiamato a Roma dal Papa, rifiutando qualsiasi riconoscimento offerto dalla città, pago di aver agito secondo coscienza di Pastore e di uomo di Governo. Merita che una via o una piazza sia a lui intitolata.

Lo merita anche il Marchese Carlo Grassi: le leggi e le consuetudini che regolavano il “Governo misto” di Bologna (il Senato cittadino in perenne confronto-scontro con lo Stato centrale rappresentato dal Cardinal Legato) nella prima metà del ‘700 mostravano crepe. 

Fu allora che emerse la figura di riformista illuminato, Grassi, di antica famiglia senatoria con il palazzo avito ancora esistente nella attuale via Marsala.

Grassi, che ebbe l’appoggio dell’allora Cardinal Lambertini pure quando divenne Papa Benedetto XIV, insieme a un gruppo di Senatori mise in atto un progetto riformatore della sclerotizzata macchina di governo senatorio-legatizia. Fra le direttive principali vi fu il riordino dell’impianto tributario, che vedeva una serie di cespiti assegnati per la riscossione a una molteplicità di soggetti. E poi lo sfoltimento della selva delle esenzioni, quasi tutte riservate a chi aveva di più.

Il progetto più ambizioso di Grassi e dei suoi amici del Senato fu la ripresa di progettualità contro il secolare disordine idraulico della bassa pianura, che sottraeva grandi spazi all’agricoltura. Cercando però, novità più rilevante, di coinvolgere nelle spese i proprietari dei terreni che con la bonifica sarebbero divenuti produttivi. Si misero così le basi dell’inalveamento del fiume Reno attraverso un canale artificiale che avrebbe fatto confluire il Reno nell’alveo da tempo abbandonato del Po di Primaro: fu chiamato “cavo Benedettino” in onore di Papa Lambertini. 

E veniamo a Zamboni: domenica 31 ottobre 1926, dopo aver presieduto all’Archiginnasio il XV Congresso della Società Italiana delle scienze, il capo del Governo, Benito Mussolini, si avvia in auto verso la stazione. Era giunto in città la sera prima per l’inaugurazione del nuovo stadio, battezzato il “littoriale”. 

Fra due ali di folla l’auto, guidata dal “ras” locale Leandro Arpinati, rallenta per svoltare da via Rizzoli a via dell’Indipendenza. Sono le 17,40 quando parte un colpo di pistola. Il proiettile manca per un soffio Mussolini, gli sfiora il bavero, si conficca nello sportello posteriore.

Immediatamente un giovinetto viene individuato dai militi fascisti come autore dello sparo, trafitto da un numero impressionante di pugnalate, lasciato a terra cadavere. Ha appena 15 anni, Anteo Zamboni.

Sono passati 95 anni ma ancora oggi non è chiaro se fu vittima innocente o mancato tirannicida: la Storia non ha ancora emesso il verdetto definitivo. La stessa Resistenza è sempre stata avara di attenzione sulla tragedia di Anteo.

Gli è stata dedicata una stradina dietro Porta San Donato e posta una lapide: però sul lato opposto dell’incrocio dove avvenne il linciaggio. Si disse nell’immediato dopoguerra che la proprietà della casa sul lato dove avvenne il martirio si era opposta alla posa. Sarebbe ora che sia Zamboni sia l’epitaffio siano collocati nel lato giusto della storia.

Photo credits: Michele.V, (CC BY-SA 4.0)


Un pensiero riguardo “Zamboni e la sua lapide meritano un posto giusto nella storia

  1. Mi sembra sia il momento di una toponomastica più rappresentativa di entrambi i generi. Anche le ultime nuove denominazioni in zona Pescarola sono unicamente al maschile: indubbiamente sono tutti personaggi degni di questo onore, ma non si può continuare così, è il 2021.

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