Dal 1975, quando fu ceduto dalla Spagna al Marocco, il territorio del Sahara occidentale si è trasformato in una prigione a cielo aperto per il popolo che quelle terre ha sempre abitato. Nonostante l’impegno continuo di organizzazioni internazionali, associazioni e enti locali come la Regione Emilia-Romagna, oggi la sua storia sembra segnata dall’indifferenza. Per combatterla, il giornalista Tommaso Valente ha deciso di pubblicare un libro
di Mery De Martino, consigliera comunale
Tanti e troppi sono i muri nel mondo. Anche se alcuni più conosciuti di altri. In Marocco ad esempio esiste un muro di oltre 2000 km che divide il paese e che serve a tracciare anche quelle che sono le zone economicamente più strategiche del Sahara occidentale da quelle che invece sono molto meno ospitali. Un muro che nasce nel 1987 per volere del Marocco, ma che non possiamo che considerare come l’ennesima conseguenza del colonialismo europeo.
Nel Sahara occidentale viveva, infatti, il popolo saharawi sotto il dominio coloniale spagnolo, ma gli accordi di Madrid del 1975 hanno fatto sì che la Spagna cedesse anche quel territorio non ai legittimi occupanti, ma al governo di Rabat. Da allora i saharawi vivono in campi profughi, in parte nel Sahara occidentale e in parte nella confinante Algeria, dove arrivarono su pressione dell’esercito marocchino, cui tentò di opporsi la resistenza armata del Fronte Polisario saharawi.
Nel 1976 il Polisario ha proclamato la Repubblica Araba Saharawi Democratica, che possiamo molto tranquillamente considerare un raro fiore in un deserto abitato da diversi regimi. La Repubblica Saharawi è oggi membro dell’Unità africana ed è riconosciuta da 80 paesi nel mondo. Da allora numerosi e aspri sono stati i momenti di conflitto armato tra i due paesi, la Repubblica Democratica Saharawi e il Regno del Marocco, tanto che nel 1990, grazie al piano di pace approvato dal consiglio di sicurezza dell’Onu, Marocco e Fronte Polisario avrebbero firmato un accordo per lo svolgimento di un referendum di autodeterminazione. Dico avrebbero, perché l’accordo lo hanno effettivamente firmato ma, nonostante le numerose richieste avanzate dalle Nazioni Unite e dal Fronte Polisario, quel referendum non si è mai svolto e il popolo saharawi continua a vivere sotto un dominio ingiustificato in campi profughi precari, la cui sopravvivenza dipende quasi esclusivamente dalle organizzazioni umanitarie.
Come avrete capito, infatti, le parti più ricche di quel territorio sono state ben confinate da muri, mentre nella parte più ostile e improduttiva sono stati relegati i campi profughi.
Il fatto che io abbia sentito la necessità di fare questa pur breve premessa storica la dice lunga su quanto l’Occidente continui a chiudere gli occhi sulle gravi conseguenze che, ancora oggi, vivono le popolazioni africane a causa dell’epoca colonialista. E la dice lunga su quanto la storia di resistenza di questo popolo sia ancora troppo poco conosciuta e purtroppo ancor meno sostenuta. Anche se si tratta, come dicevo prima, di una repubblica democratica che, da accordi internazionali, dovrebbe potersi esprimere per la propria autodeterminazione.
Fortunatamente la Regione Emilia-Romagna perpetra questa causa con le attività dell’intergruppo di amicizia Saharawi (qui), nato nel 2015, con progetti di cooperazione incentrati sulla scuola, sul lavoro e sulla sanità e con progetti di scambio che, in estate, permettono ad alcune bambine e bambini di trascorrere due mesi estivi nella nostra regione per avere accesso a cose semplici e “banali” di cui nei campi profughi sono private dalla nascita, come l’acqua che scorre da un rubinetto, il mare o l’erba di un prato. Per molti di loro si tratta, infatti, della prima esperienza al di fuori dei campi profughi, dove sabbia, polvere e vento sono costanti e la temperatura nei mesi estivi può raggiungere picchi di 50 gradi.
Si tratta di azioni fondamentali, ma che purtroppo non bastano. Quello che dobbiamo continuare a fare sempre più è aumentare l’attenzione politica e civica sulla situazione in cui vive questo popolo, fare in modo che sempre più venga conosciuto e che se ne parli, aiutando le tante associazioni che anche a Bologna e in Regione se ne occupano da moltissimo tempo.
Era il 2016 quando, grazie alla generosità di alcune compagne e compagni, al circolo Pd del Pratello organizzammo un concorso letterario e multimediale a premi: Raccontami i Saharawi – storia di un popolo che Resiste. Mettemmo su un sito web, raccogliemmo una quarantina di elaborati da tutta Italia e i primi tre furono premiati con una festa al Pratello, in piazzetta San Rocco. Il nostro piccolo modo per aiutare a diffondere la conoscenza di questo popolo, un’attività che ci ha messo in contatto con persone straordinarie che da troppi anni si battono, nel silenzio generale, per due principi basilari: democrazia e autodeterminazione.
Una di queste è senza dubbio Tommaso Valente, giornalista e autore de Il filo di sabbia, libro appena pubblicato che racconta l’esperienza di tre settimane passate in quei campi, toccando con mano le difficoltà di quel popolo. I proventi del libro saranno tutti reinvestiti in progetti di formazione nei campi profughi e a questo seguirà anche un documentario, che verrà lanciato la prossima primavera grazie a un crowdfunding che si è già chiuso, fortunatamente in maniera positiva.
Un ulteriore strumento, insieme agli altri già citati, che oggi invito tutte e tutti a sostenere, per continuare ad ampliare la platea di chi ha preso a cuore questa causa e fare in modo che quel fiore democratico possa continuare a germogliare anche nel deserto.
Photo credits: Limes-Rivista italiana di Geopolitica
bella e giusta iniziativa a favore di un popolo martoriato dagli interessi marocchini sul sottosuolo di quella area e, purtroppo, dal totale disinteresse dell’Occidente.
Un Occidente molto impegnato a guardare ad Est! Mentre i diritti conculcati sono un’offesa all’ umanità sotto ogni parallelo.