di Alfredo Antonaros, scrittore, drammaturgo
A voi – donne e uomini cui è stato chiesto il sacrificio più pesante
se qualcuno verrà a dire che è stato inutile,
non credetegli. Lo dicono anche in tivù ma non è vero.
Mentono perché vogliono la nostra rassegnazione.
Se la casa, dopo le molte scosse, ancora regge è solo perché
ha voi come muri portanti, basi sbrecciate ma forti.
La vostra storia non è una solfa per radio,
o un mito del cinema, una finzione,
ma è la diga d’acciaio che regge piene di fango, frane e urti.
Se vi diranno che s’è coperto tutto di sabbia,
che è tornato l’inverno e si sta chiusi dietro le finestre,
che gli avversari sono tornati e hanno piantato le tende,
che hanno messo le loro bandiere al centro della piazza,
e che di nuovo c’è chi teme per la sua debolezza,
e alcuni per le proprie origini, altri per il colore della pelle,
o per le idee sull’amore e sul mondo,
se sentirete queste voci posso confermarvi che è vero.
Questo ora succede. Purtroppo.
Ma ciò che siete stati non è dimenticato,
e neppure è vero che gli anni passati sono troppi.
Il ricordo non è sbiadito,
tenerlo vivo ci ha insegnato a resistere sino ad ora.
A tenere gli occhi aperti. A muoverci perché presto cambi.
Chi sa cos’è la libertà, la dignità, il rispetto,
la vicinanza con i più deboli e i più fragili,
sa anche che ciò che avete scelto di fare
era il solo modo possibile per resistere con dignità.
Il suono così determinato ed estremo delle vostre parole,
quella tesa solitudine e quel senso estremo di freddo
che ha sempre la morte, anche la vostra,
ripetono che resistere è possibile.
Che forse perderemo ancora,
ma, ancora una volta, impareremo a lottare.