Paltrinieri: «La pubblicità, come l’arte, incarna lo spirito dei tempi»

La professoressa di sociologia dei processi culturali e comunicativi del Dipartimento delle Arti Alma Mater dice la sua sul dibattito scatenato dall’ultimo spot Esselunga: «Ancora una volta si è discusso di un testo pubblicitario e non di questioni più importanti per l’esistenza delle persone»

di Barbara Beghelli, giornalista


Una bella pesca, non c’è che dire. Uno spot che non è il ‘solito cinema’ tanto che ha sollevato un conflitto politico. Pubblicità Esselunga, agenzia Small, what else? Due-minuti-due contro i trenta secondi canonici, una storia che si misura col disagio di una figlioletta e con il dolore che sottende alla separazione dei genitori, ed è proprio questo il pomo della discordia.

Tempi moderni, chi vuol esser lieto sia. Come è cambiata la pubblicità, quali sono i suoi effetti, nel bene e nel male, ce lo racconta Roberta Paltrinieri, professoressa ordinaria di sociologia dei processi culturali e comunicativi del Dipartimento delle Arti di Bologna.

Prof, dallo spot fuoriesce una silenziosa malinconia: la Meloni ha detto che l’ha commossa, la Schlein che non l’ha vista. Lei che dice?

Penso che sia vero che questa pubblicità trasuda nostalgia e senso di colpa. Non mi stupiscono le reazioni delle due leader dei partiti di governo e di opposizione, ma perché mai richiamare in campo una loro opinione sul tema? La commozione, tra l’altro, è un vero e proprio registro della comunicazione pubblicitaria, sfido chi non ha mai pianto di fronte a un testo pubblicitario ben costruito. Ma è un pur sempre un dispositivo per vendere un prodotto, insomma la malinconia non mi sembra un modo ottimale per spingere le persone a consumare.

Che effetto può avere sulle coppie separate con figli piccoli?

Probabilmente i genitori separati, meglio degli altri, sanno quanta retorica ci sia nel pensare che il senso di colpa, attivato in questo caso dalla pesca donata dalla madre attraverso la complicità inconsapevole della bambina, possa sortire degli effetti. Non sono certo le persone separate il target di questo prodotto, perché forse sono proprio loro che possono irritarsi vedendola. I ragazzi oggi sono immersi in flussi comunicativi che scorrono velocemente e la realtà che esperiscono è quella di vivere in situazioni lontane da quelle della famiglia “in cui vissero per sempre tutti felici”. Tra l’altro, dato il numero delle separazioni, questi bambini non costituiscono più situazioni isolate.

Dopo il dominio della famiglia felice e ricca ritratta dalle pubblicità del Mulino Bianco, questa dell’Esselenga ribalta la prospettiva.

Certo, questa pubblicità è figlia del suo tempo, la retorica della famiglia borghese ricca e felice non esiste più, l’effetto Mulino Bianco, al punto che la pubblicità si aggancia ad altro. Non penso però possa definirsi antidivorzista, è più subdolo il messaggio che ci viene veicolato perché contiene in sé quella dimensione consolatoria che è tipica del linguaggio pubblicitario, il dubbio se il papà la sera stessa chiamerà per ringraziare – e chissà per riniziare – è restato a tutti noi che l’abbiamo vista. Aspettiamo la seconda puntata. 

Oliviero Toscani ha detto che colpevolizza le donne ed è spot retrogrado.

Questa pubblicità è stata efficace nel suo intento, è un settimana che si dibatte sul tema, certamente ha avuto il merito di mettere in risalto posizioni contrapposte, ancora una volta però si è discusso di un testo pubblicitario e non di questioni più importanti per l’esistenza delle persone; se proprio di famiglia si vuole parlare forse bisogna sottolineare la fatica che le famiglie fanno economicamente, oggi, soprattutto quelle separate. Se si guarda il costo della vita e il suo aumento appare evidente che anche le pesche sono diventate beni di lusso. Non sono certa che colpevolizzi le donne, tutt’al più dà alle donne il ruolo di coloro che devono ricucire, è un po’ arcaico pensare che sia sempre l’angelo del focolare a dover fare la prima mossa.

Come cambia la pubblicità, considerato anche l’indice di inflazione e i salari italiani al palo da 25 anni?

Questa è una bella domanda perché lo scopo della pubblicità è promuovere il sistema consumistico, che si regge sulla capacità di acquisto delle/dei lavoratori, delle persone e delle famiglie. Se non aumentano gli stipendi le pubblicità continueranno a parlare a un pubblico sempre meno folto della nostra popolazione. Credo comunque che la pubblicità, come l’arte, incarni lo spirito dei tempi e abbia quella capacità di socializzarci anticipatamente alla società che verrà, per questo la pubblicità di cui tanto si parla, in fondo è cosi interessante. Al di là delle separazioni, siamo tutti un po’ più soli rispetto al passato, separati e non.


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