Pur nel rispetto delle differenze politiche e di approccio, le associazioni del territorio dovrebbero cercare di mettere in piedi, senza la mediazione dell’amministrazione, un organo collegiale, autogestito e aperto, alla stregua di quelli di cui si sono dotati già da tempo altri attori sociali ed economici
di Pier Francesco Di Biase, caporedattore cB
Le sentenze, si sa, in questo paese fanno sempre discutere. E tuttavia, nel parapiglia sguaiato che ha seguito la sentenza del Tar sull’attribuzione di vicolo Bolognetti all’associazione “Nata per Sciogliersi” e quindi al Làbas (qui), il problema che mi balza agli occhi non è affatto di natura giuridica, quanto politica.
In questo senso, al netto di un giudizio che non ho né la competenza né la volontà di sindacare, ritengo la vicenda il punto più basso mai raggiunto da quel vasto e imprescindibile universo che è il Terzo Settore bolognese. Perché se passa la linea che a ogni attribuzione di spazi o di fondi la cordata o l’associazione perdente fa ricorso, non solo si ingolfano ulteriormente le aule di tribunale ma si cede a una logica competitiva e neoliberista che colpisce, prima ancora delle realtà coinvolte, la stessa essenza solidaristica dell’associazionismo, svuotando nei fatti il no profit di quella credibilità che ne fa, tra i cittadini, un pilastro fondamentale del nostro tessuto sociale.
Dunque non me ne vogliano gli animatori delle Stanze di Verdi – di cui continuo pur sempre con qualche distinguo ad apprezzare l’impegno e le iniziative, in memoria del compagno Ciavatti – ma temo che per vincere una battaglia legale, per quanto evidentemente legittima, si siano condannati a perdere la guerra per l’egemonia culturale cui tanto ambiscono. Perché il valore sociale di un luogo non lo stabilisce una legge e men che meno una sentenza, ma il coinvolgimento delle persone che lo attraversano. Ed è indubbio che, in quest’ambito, Làbas e Municipi sociali non temano confronti.
Ora, va detto che la questione si sarebbe potuta risolvere senza aspettare i giudici e giocando meglio, tutti, al tavolo dell’ex caserma Masini di via Orfeo. Un posto con una storia che non si può comprare o nascondere, nemmeno annacquare. E che pur senza scontare a Làbas le rigidità e gli errori su cui dovrebbe lavorare, non poteva risolversi in una coprogettazione finanziata per appena 10mila euro e aperta alla qualunque, compresa la cooperativa “Le macchine Celibi” di cui in passato si sono occupati anche Sigfrido Ranucci e Report (qui). Vista da fuori, bisogna essere onesti, l’iniziativa dell’amministrazione è sembrata più che altro un modo per stare dalla parte dei bottoni. Anche a costo di perdere strada facendo, com’è poi successo, il collettivo che il Tar ha sfrattato da Bolognetti.
In questa sequela di errori, tuttavia, qualcosa di buono da portare a casa c’è. E credo vada riconosciuto all’Associazione per l’educazione giovanile – capofila di un’altra cordata interessata alla gestione dell’ex caserma, che vedeva al suo interno anche Arci, Libera e tante altre piccole realtà del Quartiere Santo Stefano – lo sforzo di restare il più possibile aderenti alla progettazione che, negli anni antecedenti allo sgombero, Làbas aveva portato avanti. Un tentativo, certo, che potrebbe però rappresentare il primo passo per un nuovo modello di autogestione dei rapporti tra associazioni.
A dieci anni dal primo Regolamento sulla cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani e a pochi giorni dagli Stati Generali dell’Amministrazione Condivisa, resta ampiamente inevaso il tema dei rapporti tra Istituzioni pubbliche ed enti del Terzo Settore. Che si tratti della gestione delle Case di Quartiere o dell’attribuzione di spazi, dal Mercato Sonato al Làbas, il modello centralistico e verticale che vede Fondazione Innovazione Urbana e assessorati vari in rapporto diretto con le singole realtà ha mostrato crepe in più di un’occasione. E se interpretare bisogni e istanze specifiche di associazioni e contesti è oggettivamente difficile, data la quantità di attori coinvolti, gli operatori potrebbero forse mettere in campo, dopo il Forum del Terzo Settore, un ulteriore strumento collettivo e rappresentativo per facilitare il proprio lavoro ancor prima di quello dell’amministrazione.
Si potrebbe per esempio cominciare da Arci, Aics, Ancescao e, se lo desiderano, i Municipi Sociali. Sono – non me ne vogliano gli altri – le realtà più diffuse sul nostro territorio, quelle che gestiscono, in maniera diretta o indiretta, il maggior numero di spazi. Pur nel rispetto delle differenze politiche e di approccio, non dovrebbe essere difficile per queste sigle mettere in piedi, senza la mediazione dell’amministrazione, un organo collegiale, autogestito e aperto anche alle altre realtà, alla stregua di quelli di cui si sono dotati già da tempo altri attori sociali ed economici come le cooperative e le imprese. Un “sindacato” o una Consulta, per usare un termine tanto in voga, che discuta le problematiche comuni a tutto il settore. Non per difendere interessi corporativi ma, mi si perdoni il pessimo gioco di parole, per prendersi cura di chi si prende cura.
Forse sono un illuso, ma penso che potrebbe funzionare.

Condivido molto di quanto scritto in questo articolo, Il rapporto tra il cosiddetto terzo settore, la politica e “il politico” (inteso come tema, non come persona) è sempre stato tormentato, fatto da molte vicinanze, molte lontananze e, in misura minore, capacità di confronto tra identità e responsabilità precise e differenti. Non sfugge certo Bologna a questo insieme di luci ed ombre, per certi versi inevitabili nelle stagioni culturali e politiche che viviamo. Qualche ragionamento, più di tipo generale, ma anche con qualche eco bolognese sulle e tra le righe, ho provato a farlo anch’io qui:
https://unacertaideadi.altervista.org/2023/12/volontariato-identita-e-rappresentanza-tra-non-piu-e-non-ancora-il-nodo-del-lessico/
Caro Pier Francesco Di Biase sulla sentenza del TAR, che è Istituzione voluta dall’ordinamento italiano e dalla Costituzione, non giriamoci intorno. Il tuo invito ecumenico, non dubito in perfetta buona fede, non tiene conto di una verità macroscopica e inaccettabile. Come inaccettabili sono, di una gravità inaudita, le dichiarazioni degli attuali gestori, Làbas, che affermano che loro hanno una loro “legge” che prescinde dalle leggi dello Stato italiano. Come gravi sono le dichiarazioni del Sindaco che, se lo intende, deve limitarsi a fare un ricorso. Altrimenti conferma una cosa per altro nota, l’affettuosa vicinanza a Làbas, con qualche non trascurabile conflitto di interessi tra Sindaco, Consiglio Comunale, Giunta e Làbas.
Caro Pier Francesco mi limito a citare Otello Ciavatti, che non era parte di una lobby di interessi e nemmeno era di destra (vergognoso il tentativo del Comune di far cadere il ricorso delle associazioni contro l’assegnazione a Làbas con la motivazione della scomparsa di Ciavatti). Intervistato a proposito del ricorso, Ciavatti rispose che lui non aveva nessun pregiudizio o astio verso Làbas. Quello che per lui non andava assolutamente bene nella prassi del Comune era che, mentre il Comune nei riguardi della totalità delle richieste e proposte di tutto il mondo associativo aveva un atteggiamento “fiscale” “occhiuto ” e “puntiglioso “ a Làbas predisponeva sempre una strada in discesa. Allora esiste un conflitto di interesse fra Làbas e Coalizione Civica nel rapporto con l’amministrazione comunale. TUTTO QUESTO E’ ILLECITO E INGIUSTO VERSO TUTTO IL TERZO SETTORE, DOVEVA FINIRE DA TEMPO E DEVE FINIRE. Il Sindaco è pregato di avere un atteggiamento da Sindaco e non da fiancheggiatore . Questo anche perchè a Bologna ci sono molte associazioni che meritano attenzione e rispetto.