La nomina di Valentina Cuppi a presidente dell’assemblea nazionale del Pd è salutata con favore da chi si aspettava un segnale di cambiamento e di apertura. E con diffidenza da quei dirigenti locali che sospettano una manovra per contenere il successo del modello emiliano
di Giovanni De Plato, psichiatra
Si potrebbe dire che, finalmente, è arrivato da Zingaretti un segnale di discontinuità politica dopo la sua vittoria alle primarie e la nomina a segretario del Pd. E che questo primo gesto di novità potrebbe avviare la stagione di un rinnovamento strutturale del partito, anche se avviene tardivamente. Il successo personale di Bonaccini, la vittoria del centrosinistra e l’affermazione del Pd in Emilia-Romagna, più che essere considerati dei punti forti da cui ripartire per sconfiggere in altre regioni e poi nel paese il centrodestra, si sta dimostrando l’ennesima occasione di una contesa a perdere all’interno degli organismi di partito.
La necessità di far avanzare una riflessione unitaria su come dare prospettiva a quell’insperato e straordinario risultato emiliano, il centrosinistra ritorna a dividersi risvegliando gli appetiti correntizi interni ai partiti e partitini. In questo gioco al massacro il Pd resta insuperabile. L’incapacità di produrre anticorpi contro un salvinismo sempre più aggressivo e pericoloso, anche se non più incontenibile nella crescita dei consensi, è davvero stupefacente. Un importante segnale di ripresa, come quello della nomina di una giovane sindaca, eletta a Marzabotto con il 71% dei voti, è annullato da una malcelata o sotterranea polemica, il cui veleno non aiuta a sperare.
Quella che avrebbe dovuto essere apprezzata come una boccata di aria fresca, invece, viene inspiegabilmente stravolta come una manovra del segretario nazionale per arrestare quello che avanza dai territori. Cosa non vera, visto che i sindaci di Bologna e di Ravenna sono entrati in segreteria nazionale. Di tanto stravolgimento dei fatti da parte d’inguaribili fazioni interne al partito, rende gli esterni, i votanti, i sostenitori del centrosinistra ormai esausti, sempre più intolleranti e rabbiosi. Viene da chiedersi come si può annegare un grande successo politico regionale in un’indecente polemica nazionale? Perché i progressisti e democratici, che per vie diverse confluiscono nel riformismo della sinistra, considerano quel segnale lanciato da Zingaretti importante e gli attribuiscono un grande valore verso l’allargamento politico e sociale?
A ben vedere il problema vero non è capire se è o non è una manovra. È vedere se l’avvenuta scelta nazionale nel segno della discontinuità sia così forte da vincere le resistenze interne di quei signori delle tessere che difendono a denti stretti i propri feudi, la selezione dei candidati da eleggere e la spartizione dei posti da occupare nelle istituzioni pubbliche. Alcuni di questi feudatari che a livello comunale, provinciale e regionale bloccano qualsiasi tentativo di cambiamento, non hanno mancato ancora una volta di manifestare il loro dissenso, di esprimere le loro critiche e di appellarsi a regolamenti e procedure che a loro dire non avrebbe permesso di nominare a cariche di partito chi non era iscritto.
Ritornano a rivendicare il primato delle tessere, e il potere di chi le organizza. Puntualmente non è mancato quel dirigente del Pd di Marzabotto che si dice interdetto per la nomina della Cuppi, come quello della federazione di Bologna che lamenta la sua provenienza dalla sinistra radicale e civica. O di quello del regionale che sospetta l’oscuramento del modello Bonaccini in modo da precludere un’eventuale sfida a Zingaretti nel prossimo Congresso nazionale, che si dovrebbe tenere in autunno.
Di tanta polemica, di tanti sospetti, di tante stilettate interne al Pd non se ne può più. Sarebbe ora di finirla e di cambiare davvero registro. La politica si fa con le idee, i progetti, i programmi scegliendo personalità credibili, competenti, al servizio della società con la finalità di fare meglio il bene comune. E’ sperabile che il prossimo Congresso nazionale del Pd si richiami a questi valori e si arricchisca di un confronto aperto su linee diverse o contrapposte, ma sempre improntate all’unità per unire in modo da rendere la democrazia un sistema governante e la società una comunità includente aperta al mondo.