“Ci sono quattro tipologie di persone al mondo: coloro che sono stati caregiver, coloro che sono caregiver, coloro che saranno caregiver e coloro che avranno bisogno di un caregiver”. Il problema riguarda tutti
di Isabella Baricchi, organizzatrice di eventi
Sono giorni di grande preoccupazione e tremenda solitudine per tutti, ma certamente ancora più duri per chi si occupa in prima persona della cura delle fragilità e in particolare per chi lo fa entro le mura domestiche. Su questa tema ho avuto il piacere di discutere con Loredana Ligabue, segretario di Carer, l’Associazione regionale dei caregiver familiari, ovvero le persone che si prendono cura di congiunti malati o disabili.
Presentaci innanzitutto la vostra attività
La nostra associazione nasce nel 2013 con l’obiettivo di operare per il riconoscimento dei diritti di chi si prende cura di un proprio caro non autosufficiente e ha come soci sia singoli cittadini che associazioni di familiari di malati di alcune patologie, come l’Alzheimer, il Parkinson o l’ictus.
La Regione Emilia-Romagna è stata la prima ad accogliere le nostre istanze, pervenendo, già nel 2014, a una norma regionale che riconosce giuridicamente il nostro ruolo. Nel 2017 sono state approvate le linee attuative della legge nell’ambito del Piano Sanitario Regionale, mentre lo scorso novembre è stato stanziato un fondo di sette milioni di euro da destinare ad azioni di informazione, orientamento, prevenzione ai rischi di salute e sollievo ai caregiver, oltre che di sostegno alla domiciliarità.
La legge regionale è poi il riferimento di un’azione che stiamo perseguendo a livello parlamentare per estendere il riconoscimento del ruolo nella dimensione nazionale.
Come ha influito l’epidemia Covid-19 sulla vita quotidiana dei caregiver?
Innanzitutto sono stati chiusi i centri diurni, mentre i servizi domiciliari sono in seria difficoltà per la carenza di dispositivi di protezione e perché in questo momento le emergenze su cui gli operatori sono impegnati sono altre. Ai caregiver vengono a mancare le certezze sanitarie, come le visite di controllo, le operazioni programmate: pensiamo anche al versante oncologico… Questo scenario sta sconvolgendo ovviamente il nostro sistema di riferimento, riportando pesantemente il carico di lavoro di cura sulle responsabilità individuali e familiari, all’interno delle mura domestiche.
La complessità della situazione ha ampliato decisamente il livello di fragilità dei sistemi di relazione, il contesto di isolamento è ancora più forte. La paura di essere soli ad affrontare il peso della cura, la consapevolezza di non poter accompagnare le persone che amiamo in caso di ospedalizzazione o, per chi dopo un lungo percorso domiciliare ha dovuto scegliere il ricovero in struttura, l’impossibilità delle visite sono causa di enorme inquietudine.
Infine, dobbiamo ricordare che una delle criticità tipiche del ruolo di caregiver è la conciliazione del lavoro di cura con l’attività lavorativa vera e propria. In questo momento, chi lavora fuori casa ha un timore altissimo di portare in famiglia infezioni, chi è a casa teme per il suo futuro: il prendersi cura impoverisce sempre pesantemente, sia economicamente che nelle relazioni.
Cosa fa l’associazione in questo momento per fronteggiare l’emergenza?
L’associazione rimane un punto di riferimento per tutti i familiari, cerchiamo di rispondere dove possiamo, di esserci, di portare avanti a livello istituzionale le esigenze specifiche del nostro ruolo. Ma è durissima.
Puoi fornirci qualche dato statistico sui caregiver in Emilia-Romagna? Di quante persone stiamo parlando?
Non abbiamo numeri aggiornati, una rilevazione del 2014 ne ha evidenziate poco più di 500mila, di queste 200mila con un impegno di oltre 20 ore settimanali.
Si tratta di figli, coniugi, nipoti. Sono coinvolte tutte le fasce di età: dagli adolescenti che dopo la scuola assistono fratelli o genitori con disabilità o dipendenze, agli adulti che si prendono cura di genitori con demenze ma hanno anche carichi di cura genitoriali e una forte preoccupazione lavorativa, ai tanti pensionati che assistono il coniuge o il figlio disabile adulto o anziano egli stesso. Come diceva Rosalynn Carter, pioniera nel riconoscere il ruolo fondamentale dei familiari che si prendono cura nelle nostre comunità sempre più longeve, “Ci sono quattro tipologie di persone al mondo: coloro che sono stati caregiver, coloro che sono caregiver, coloro che saranno caregiver e coloro che avranno bisogno di un caregiver”. Quindi, il problema riguarda tutti.