I dati che ci vengono forniti non bastano. La tenuta democratica è a rischio
di Pier Giorgio Ardeni, economista dello sviluppo
I dati che la Protezione civile e l’Istituto superiore di sanità ci forniscono ogni giorno, ripresi dai giornali, non sono sufficienti. Non basta infatti sapere quanti sono i nuovi casi accertati di contagio, i guariti e le morti legate al Covid-19. Per quanto questi numeri «diano un’idea», non bastano. Ci è stato imposto l’auto-isolamento per limitare le occasioni di contagio ma questo confino domestico, per molti, è difficile e penoso: mancato reddito, solitudine o affollamento tra le mura di casa, sgomento, ansia. Davanti a noi non abbiamo un orizzonte, una prospettiva. Non ci viene detto quando e come finirà l’isolamento, come potrà avvenire la ripresa delle attività. Come si pensa di far ripartire il Paese? La “libera uscita” non potrà arrivare tutta in una volta e dovrà essere dosata per fasi e luoghi e fasce di popolazione, altrimenti sarà rischiosa. La transizione dovrà necessariamente passare da un attento bilanciamento tra le esigenze della ripresa e il contenimento del contagio ancora in corso, anche se in diminuzione. Ma vorremmo sapere come sarà, è una questione di democrazia.
Da quando è stata decisa una strategia di contenimento più aggressiva – con il lock-down esteso a livello nazionale – è stato anche dichiarato che tale strategia avrebbe mostrato la sua efficacia solo nel tempo e che solo una volta raggiunto “il picco” si sarebbe potuto immaginare un eventuale allentamento dei vincoli. Ora, non è dato sapere quante sono effettivamente le persone autorizzate a circolare ma rinchiudere in casa milioni di individui non solo limita le loro libertà, non solo porta al blocco delle attività che per molti rappresentano la fonte primaria di reddito, ma potenzialmente rischia di avete effetti psicologici e psichici gravi e che lasceranno il segno.
Le misure imposte si affidano, nonostante tutto, al buon senso e all’adesione partecipata dei cittadini. Ma i cittadini vanno informati su cosa sta succedendo. Sull’andamento dell’epidemia – complessivo e a livello locale – e sulle prospettive. Quanto tempo dovremo stare reclusi? Come ne usciremo? Non sappiamo nulla, non ci viene detto nulla, stiamo aspettando le valutazioni del “comitato tecnico” (e non è un film). Tuttavia, dato che non possiamo pensare che la quarantena finirà solo quando non avremo più un solo contagiato, allora, come sarà il phasing out?
È stato detto: «Dopo il picco». Ma di quale picco si parla? Se si intende il numero totale dei contagiati attivi – ovvero quelli rilevati, meno i guariti e i deceduti – questo continuerà a crescere fintantoché se ne aggiunge anche uno solo al giorno. Non è evidentemente quello il picco cui ci si riferisce. Si intende forse il numero netto dei nuovi contagiati, ovvero i nuovi positivi meno guariti e deceduti? Negli ultimi cinque giorni si sono aggiunti in media 2.597 contagiati al dì, cui vanno sottratti i 778 deceduti e i 1.179 guariti giornalieri medi. Il netto è quindi di 640 unità in più. Il giorno in cui questo numero diventasse negativo, vorrà dire che sono sempre meno quelli che si aggiungono al computo totale. Questo è, forse, il famoso picco di cui si parla. Ma se anche arriveremo in un tempo relativamente breve a quel valore, potranno forse le misure di limitazione ai movimenti allentarsi? Finché ci saranno nuovi contagiati, esse non potranno che essere modulate sul territorio e per fasce di popolazione.
Alla data del 2 aprile risultavano in Italia 83.049 persone attivamente contagiate e per capire come ne usciranno dovremo attendere almeno 14 giorni. Finora, i numeri “in uscita” dalla condizione di contagio sono stati abbastanza lugubri, dal momento che abbiamo avuto solo 18.278 guariti e ben 13.915 deceduti (ufficiali “da Covid-19”). Senza addentrarci nel commentare un tasso di letalità (12,1%) altissimo – rispetto a quanto ci era stato prospettato – ciò significa che, per ipotesi, se anche da oggi (3 aprile ndr) non si aggiungesse nessun nuovo caso, nei prossimi giorni dovremmo avere 47.152 nuovi guariti e ben 35.897 morti aggiuntivi (mantenendo la stessa proporzione tra guariti e deceduti attuale, che è la stessa da una decina di giorni). In altre parole, il bilancio dell’infezione da Covid-19, a oggi, se non si aggiungesse più nessun nuovo contagiato, sarebbe di quasi 60 mila morti. Il problema, com’è ovvio, è che il contagio sta continuando e sporge spontanea la domanda: chi sono i nuovi contagiati? Chi si sta contagiando, oggi che è in atto la quarantena da ormai più di tre settimane? Come mai abbiamo ancora tanti nuovi contagiati?
Il giorno in cui fu emesso il Dpcm che sanciva il blocco, il 10 marzo, risultavano all’appello 7.985 contagiati (e vi erano già stati 463 decessi, a fronte di 724 guarigioni). In effetti, ben 7.764 di quei contagiati si erano manifestati nelle due settimane precedenti (erano appena 221 il 24 febbraio). Nei 14 giorni successivi al 10 marzo i contagiati sono aumentati di 42.433 unità (il che vuol dire che ognuno di quei 7.985 ha infettato più di cinque persone). E nei sette giorni dopo, i nuovi contagiati sono aumentati di sole 25 mila unità. Il contenimento auspicato con il blocco ha dunque funzionato? Dei contagiati contabilizzati al 1° aprile, ben 49.869 si sono aggiunti negli ultimi 14 giorni ma solo 21 mila nell’ultima settimana. Se, pertanto, nelle prossime settimane, la differenza bi-settimanale continuasse a diminuire (fino a diventare negativa), vorrebbe dire che il picco “quattordicinale” è già stato raggiunto (il 29 marzo): i contagiati aumenteranno ancora a fino a raggiungere un massimo, per poi finalmente diminuire e scendere a zero. Quale sarà quel massimo e quando questo avverrà dipenderà da come il contagio continuerà a diffondersi. Gli scenari possono essere molto diversi a seconda di come si evolverà il contagio.
Proviamo a fare alcuni conti, partendo dal fatto che i nuovi contagiati stanno calando, anche se lentamente (l’ultimo picco di nuovi positivi è stato il 26 marzo e da allora il calo medio è stato di 200 al giorno). Se ipotizziamo che i nuovi contagiati continuino a diminuire, diciamo di 400 al giorno in media, i positivi totali aumenteranno fino a un massimo di oltre 234 mila (attorno al 7 maggio) per poi calare fino ad azzerarsi attorno al 7 giugno. Se il calo medio giornaliero fosse doppio, il totale dei contagiati raggiungerà un massimo attorno ai 176 mila attorno al 23 aprile, per poi azzerarsi già prima del 20 maggio. Dobbiamo quindi comunque aspettarci un aumento dei positivi, con il conseguente aumento dei decessi (sperando che possibilmente il tasso di mortalità diminuisca).
Diversi studiosi si sono azzardati a fare previsioni, come quella di Franco Peracchi dell’Istituto Einaudi, che stima la fine dell’epidemia attorno al 10 maggio (basata su un modello matematico). Gli epidemiologi, possibilmente, possono farne di più accurate (se però ricorressero all’aiuto di qualche statistico). Ma non possiamo pensare che tutto rimanga fermo – con l’Italia agli arresti domiciliari – finché non vi sia un solo nuovo contagiato. Vogliamo forse tenere un Paese in ginocchio senza iniziare a ragionare delle dinamiche del contagio e della sua limitazione? La transizione verso le retour à la normal non potrà che essere graduale e andrà avviata per consentire a fasce selezionate di popolazione di uscire di casa. I tassi mortalità, per luogo e condizione, potrebbero essere una guida importante (ad esempio, dei 13 mila morti accertati, appena 300 su 35 mila contagiati sono di età inferiore ai 60 anni, cioè meno dell’1%. Quanti di questi avevano altre patologie?). Disponiamo di informazioni più dettagliate, che permettano di definire strategie ad hoc? Come si sta immaginando la transizione verso la fuoriuscita dalla quarantena?
Ancora, purtroppo, non è dato sapere e la politica latita (e non è solo una questione di conti). Eppure, le misure dovranno coinvolgere i cittadini tutti, con le adeguate informazioni, per consentire l’allentamento delle restrizioni per quelle situazioni che, statisticamente, non appaiono significative. Non tutte le regioni, non tutte le province registrano le stesse dinamiche e un’accorta operazione di “rilascio” potrebbe funzionare (mantenendo, ad esempio, l’obbligo di non uscire dal comune, o dalla provincia). Ma anche, dovranno essere limitate le occasioni di contagio, come ad esempio, obbligare la gente a fare la fila al supermercato. A questo proposito, tra l’altro, non si può non stigmatizzare come la grande distribuzione non abbia fatto nulla per attivarsi per le consegne a domicilio: al di là degli anziani soli e in condizione di bisogno, la cui assistenza è stata però fatta mediare dai Comuni, non si può non notare come nulla sia cambiato nel modello di business della grande distribuzione da quando è iniziata l’emergenza. Collegatevi ai siti web delle catene distributive per vedere cosa vi rispondono. Con tutti i rider a spasso, questa è stata la flessibilità che hanno dimostrato: di non cambiare nulla, con la scusa che “il portale è fatto così”.
Il lock-down ha colpito in modo trasversale ma non tutti ne pagheranno le conseguenze nello stesso modo. Il Covid-19 genererà nuove disuguaglianze di cui dovranno farsi carico le future scelte. L’economia di milioni di famiglie è in affanno e la tenuta democratica è a rischio, il disagio cova, il nervosismo serpeggia nell’impossibilità a continuare la quarantena per quei milioni di italiani che non possono permetterselo.