Verso un lockdown delle libertà?

Anche la nostra città sembra perdere il cliché di luogo dell’accoglienza e della sperimentazione politica per consegnarcene una copia asfittica. Un dialogo con il politologo Piero Ignazi osserva i rischi che troppi divieti possano cambiare una terra d’avanguardia, mentre addirittura si invoca una sorta di milizia per controllare il distanziamento. Serve davvero anche a Bologna piuttosto del tradizionale senso civico? Non sarebbe meglio piuttosto una tassa di solidarietà per frenare i pericoli dell’insoddisfazione di chi non avrà coperture adeguate?

di Vittorio Zandomeneghi, consulente aziendale


Chi ha scelto di venire a Bologna e di restarci a vivere ha sempre pensato di essere un po’ più avanti degli altri per quanto riguarda la cultura civica, le libertà civili, l’accoglienza e la sperimentazione politica. Solo un po’, intendiamoci, ma la cosa era riconosciuta anche da fronti non politicamente affini. In questi quasi tre mesi di severo lockdown mi sono chiesto se questa diversità sia ancora vera o diventata oramai un feticcio.

Per rispondere a questa domanda ho cercato il confronto con un noto politologo di Bologna (anche se è romagnolo), nonché editorialista di Repubblica, Il professor Piero Ignazi. L’ho chiamato e con sua grande disponibilità abbiamo ragionato a caldo in particolare su tre punti:

Come stanno le nostre libertà dopo il lockdown?

Come ha gestito l’emergenza la politica e l’amministrazione ai suoi vari livelli?

Aumenterà il conflitto sociale e la diseguaglianza, anche in territori forti come Bologna?

Sul tema delle libertà il timore è che con la bulimia di andare a normare tutto si arrivi poi a una sorta di auto limitazione dei propri spazi di libertà. Quante volte in questi giorni sentiamo persone che si attendono dettagli di comportamento su ogni cosa? Mi posso sedere su una panchina al parco? Posso andare a trovare mio cugino in appennino? Mio figlio si potrà sdraiare sul prato ai giardini? E se poi altri si sdraiano vicino? Sarà un assembramento?

Il timore insomma qui è che il lockdown ci consegni in eredità delle libertà più gracili, più asfittiche. Ignazi sottolinea in particolare la confusione che si ingenera nel cittadino con una pletora di decreti, ordinanze e regolamenti spesso in potenziale conflitto tra loro, con l’effetto di provocare un’ancor maggiore richiesta di dettagli applicativi (una spirale perversa, aggiungo io). «È come il millepiedi se deve fare attenzione a ogni micro movimento, c’è il rischio che inciampi», continua.

Ed il rischio di inciampare a me pare già evidente in quel che osservo. Penso alle richieste che arrivano al Comune da parte di cittadini che chiedono di controllare i vicini, di andare a vedere il lastrico solare o il cortile sotto casa dove si sentono rumori e schiamazzi («secondo me saranno almeno in cinquanta!»)

Alla domanda su come hanno reagito gli amministratori e la politica in generale io francamente sono più critico mentre Ignazi mi porta a riflettere sulla difficoltà di gestire una pandemia senza precedenti. È invece più critico verso il conflitto che si è generato nel rapporto Stato-Regioni e nei personalismi che si sono visti all’opera nei vari governatorati. È convinto che Bologna tuttavia abbia saputo mettere in atto una gestione regionale dell’emergenza piuttosto efficace con il commissario Venturi, che è apparso padrone della situazione.

«Certo ora bisogna convivere con il virus e quindi in maniera progressiva riaprire tutte le attività, su questo non c’è alcun dubbio» (lo diciamo praticamente all’unisono, parlandoci sopra)

Ed arriviamo al terzo punto sul possibile conflitto sociale, anche a Bologna, su chi è garantito da contratti pubblici e dalla cassa integrazione nel privato (quando arriva…) e chi invece ne è privo. È questa la vera frattura che vediamo con chiarezza in queste settimane. Tra chi è garantito e chi no.

Per questo Ignazi vedrebbe con favore manovre più decise quali una tassa di successione come hanno altri Paesi e forse una tassa di solidarietà da parte di chi è al coperto verso chi non lo è, ossia gli autonomi, i giovani con lavori precari, le categorie deboli. «Anche perché non sappiamo dove ci porterà questa enorme insoddisfazione che monterà in particolare da settembre in poi».

Riguardo le polemiche relative agli assembramenti di queste settimane, Ignazi porta la riflessione sulla forte divisione generazionale. «I giovani non percepiscono il rischio e hanno un forte desiderio di socialità dopo il lockdown. Si tratta di gestirlo con attenzione senza demonizzarlo ma insistendo sulle responsabilità».

Introduco la proposta di assumere 60.000 assistenti civici. Lo provoco su questo punto che personalmente non condivido affatto, anche per aspetti “estetici” che secondo me sono importanti (a me sa di milizia, cosa volete che vi dica).

In generale la proposta degli assistenti civici mi pare in fase iniziale, sostiene Ignazi, e dunque bisogna vedere cosa matura in concreto. «In ogni caso se verranno utilizzati in attività di volontariato e assistenza dal Comune non ci vedo problemi. Certo non devono avere funzioni di controllo. Dobbiamo stare attenti a questo punto».

Significa che anche a Bologna non abbiamo la cultura civica per fare da soli? Abbiamo bisogno degli assistenti civici? Cerco di provocare (lo faccio sin dall’inizio del dialogo).  «È vero che sulla cultura civica, anche a Bologna, abbiamo molto da fare, se guardiamo al fatto che i buoni alimentari pare siano stati chiesti anche da chi non ne aveva né diritto né bisogno…»

Chiedo se alla fine della fiera Bologna può ancora considerarsi un’isola felice. Dopo la nostra quasi mezz’ora di chiacchierata per me piacevole (spero anche per lui!), ancora non ho sciolto questo nodo (che sia l’ottimismo della volontà?).  «Mi pare siamo in mezzo al guado un po’ come tutti, non saprei se questa diversità la possiamo ancora rivendicare». Però a me pare lo dica ammettendo una possibilità di riscatto (mi piace crederlo). Ma questo è un tema troppo grande che meriterebbe un lungo articolo su Cantiere Bologna, magari a più voci…


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