La Regione ha 50 anni, ora il “regionalismo differenziato”

È il momento di dare piena attuazione dell’art. 116 della Costituzione (ulteriori forme di autonomia oltre a quelle delle Regioni a statuto speciale), cui la stessa Emilia-Romagna, col suo progetto avviato nella scorsa legislatura, ha dato un decisivo contributo. Il rilancio di quest’idea trova un chiaro riferimento nelle situazioni di crisi, economica prima e sanitaria legata al Coronavirus poi, e la conseguente necessità di politiche e azioni di ripresa e rigenerazione sociale

di Emma Petitti, presidente dell’Assemblea legislativa della Regione


Il 7 giugno abbiamo celebrato un traguardo importante: il 50° anniversario dalla nascita ed entrata in funzione delle Regioni, istituite con una legge dello Stato del 1970. È una lunga storia che in Emilia-Romagna, grazie alla collaborazione tra le forze politiche e le parti sociali, ha permesso di trasformare quella che era una delle zone più fragili dell’Italia unitaria in una delle regioni più ricche e all’avanguardia d’Europa. È una storia di donne e di uomini che hanno fatto della politica la passione della propria vita perché sapevano che attraverso la lotta politica e la cultura amministrativa si poteva favorire il benessere di tutta la comunità.

Sono stati cinquant’anni non sempre facili per il nostro paese. Cinquant’anni che hanno portato tanti cambiamenti di cui ancora oggi portiamo i segni e viviamo i riflessi.

I primi anni Settanta hanno rappresentato un modello cruciale di cambiamento a partire delle lotte studentesche, le rivoluzioni sindacali, l’onda lunga del terrorismo stragista ma anche le battaglie per l’affermazione del movimento femminista.

Negli anni Ottanta abbiamo assistito alla fine della guerra fredda e all’ascesa delle istanze neoliberiste, a tragedie che in Emilia-Romagna abbiamo vissuto sulla nostra pelle come la bomba alla stazione di Bologna il 2 agosto 1980 e la strage di Ustica, nel giugno dello stesso anno.

Poi sono arrivati gli anni Novanta, vissuti in bilico tra un passato recente fatto di cambiamenti epocali e il nuovo millennio alle porte. La nascita dell’Unione europea e la fine della cosiddetta “prima Repubblica”.

Infide i Duemila, con l’avvento dell’euro e la rivoluzione digitale che ha cambiato le nostre vite.

Tutto ciò passando attraverso un processo di profondi cambiamenti della pubblica amministrazione con le Regioni che hanno puntato a essere un punto di riferimento serio e concreto per le Istituzioni locali, per l’economia, per il mondo produttivo.

A mio avviso la nascita delle Regioni è stata una vittoria su diversi fronti: dando piena attuazione ai principi della Carta costituzionale è stato possibile sviluppare quel livello intermedio di programmazione e di governo tra lo Stato centrale e il preesistente binomio Province e Comuni. Proprio in seguito al depotenziamento delle Province successivo alla riforma Delrio, il livello regionale si è ulteriormente rafforzato assumendo un ruolo primario nel coordinamento delle politiche e nella gestione dei servizi. Anche per questo le Regioni sono un presidio fondamentale.

Credo inoltre una cosa: una Regione non è fatta solo di consiglieri, atti, delibere e strumenti che, per quanto importanti, servono in senso stretto al funzionamento dell’ente. Una Regione è fatta anche dei cittadini che ci vivono. E proprio i cittadini possono essere “parte attiva”. Due anni fa in Emilia-Romagna abbiamo messo in cantiere la “legge sulla partecipazione” con l’intento di favorire appunto la partecipazione dei cittadini all’elaborazione delle politiche pubbliche e al rafforzamento del senso di cittadinanza attiva, nel momento di scelte importanti e strategiche. Ritengo che la giusta prospettiva sia proprio quella di allargare l’orizzonte dalla macchina amministrativa, che conosciamo più sotto un profilo burocratico, a tutta la comunità che vive e fa parte di un territorio. In questo modo potremo raggiungere traguardi ancora più alti.

Sul ruolo centrale delle regioni dovremo concentrare il lavoro dei prossimi mesi.

Per finire, le situazioni di crisi, quella economica prima e quella sanitaria legata al Coronavirus poi, e la conseguente necessità di elaborare e attuare politiche e azioni di ripresa e rigenerazione economico-sociale, rappresentano sicuramente il contesto di riferimento per una nuova stagione di rilancio del cosiddetto regionalismo differenziato, in grado di dare piena attuazione dell’articolo 116 della Costituzione (che prevede ulteriori forme di autonomia oltre a quelle delle Regioni a statuto speciale), cui la stessa Regione Emilia-Romagna, con il suo progetto, avviato nella scorsa legislatura, ha dato un decisivo contributo.

Il regionalismo dovrà valorizzare al massimo il principio della “leale cooperazione istituzionale”, nella convinzione che la piena attuazione dello Stato delle autonomie sarebbe, anche a prescindere dall’emergenza, volano di sviluppo e della responsabilità dei singoli territori. Il tutto nel rispetto dell’unità nazionale e con la concertazione e la piena collaborazione da parte dei portatori di interesse. Solo con la piena condivisione degli obiettivi potremo puntare a diventare una Regione ancora più forte e competitiva.


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