Che figura ci fanno la Scuola, il Comune, lo Stato davanti a delle famiglie che vedono i figli riprendere le lezioni dopo tanti mesi per poi doverle sospendere immediatamente per allestire le cabine per votare ad un referendum dove si prende una decisione sulla rappresentatività e sui processi democratici
di Cristian Tracà, docente
Era di giugno. Nel clima rovente della polemica sulla didattica a distanza, dinanzi alla legittima richiesta dal basso di parlare finalmente di scuola con assoluta priorità, era un fiorire di accordi e dichiarazioni unanimi. Niente più seggi elettorali negli edifici scolastici. Non s’ha da fare, né ora né mai. Consenso trasversale, applausi, sensazione positiva. Il Covid veramente ci aveva reso migliori. Sembrava tutto predisposto per scardinare un’abitudine storica e aprire ad una dinamica forse più moderna delle operazioni di votazione.
Passano i mesi, l’entusiasmo e il dibattito si affievoliscono e si spengono. Insieme al caldo sparisce quel clima positivo di cambiamento. Poi qualche recente fiammata. Qualche sindaco che dichiara che è molto complicato e che contesta alla Ministra un po’ di superficialità, altri che invece annunciano di essere riusciti a trovare un’alternativa, qualche richiesta di aiuto al Governo affinché si cambino le normative. Aggiungiamoci le polemiche sulla data di inizio dell’anno scolastico (suonare De Luca) all’insegna dell’omogeneità ma anche dell’autonomia, in quell’ordine sparso che caratterizza l’equilibrio di potere molto ballerino tra Stato e Regioni. Uno spezzatino all’italiana difficile da comprendere.
Al comune cittadino sembrerebbe un’innovazione di buon senso, una procedura che, dopo qualche scomodità iniziale, potrà cambiare in meglio la vita delle scuole, esonerate dall’obbligo di liberare gli spazi e di sospendere le attività didattiche. Basta interpellare qualche docente della scuola primaria, ad esempio, che ad ogni tornata deve smontare e rimontare tutto. Potrebbe anche essere il modo per far scoprire qualche spazio pubblico a chi vive la città senza conoscerla fino in fondo. Metti che qualcuno possa apprezzare qualche biblioteca o qualche centro sociale o culturale con questa riorganizzazione eventuale.
Sicuramente per chi amministra il problema è decisamente più complicato, tra abitudini consolidate, ingranaggi ormai ben stretti e specifiche esigenze logistiche e di sicurezza tutte da ponderare e rivedere. Ci sono dei rischi che è meglio evitare? Di che natura sono gli ostacoli?
Al di là di quali siano le risposte a queste domande appare a occhio nudo che qualche aggiustamento sia possibile. Solo per fare un esempio di cosa accade oggi ad ogni tornata elettorale prendiamo la zona Malpighi, dove probabilmente il fenomeno è più semplice da osservare. I residenti che vivono tra Piazza Maggiore e Piazza Malpighi sono forse tra i casi più interessanti per il nostro focus.
In questo quadrante della città ci sono 16 seggi distribuiti in sei location, che allo stato attuale tengono impegnati ben cinque istituti scolastici diversi e di vario ordine. Si va dall’Ic 8 con il plesso di via Ca’ Selvatica alle scuole secondarie di secondo grado Laura Bassi, Minghetti, Crescenzi Pacinotti Sirani, Righi. Un esempio ancora più spicciolo: è possibile che chi vive in via Frassinago, via del Pratello, via Sant’Isaia debba votare in tre posti diversi, pur abitando in un fazzoletto piccolo piccolo?
Quanti studenti non possono accedere alle aule con questa organizzazione? Evitiamo la somma matematica, ma è bene considerare che ormai ogni scuola ha un numero di mille alunni e alunne almeno. Difficile pensare che non si possa procedere ad una distribuzione diversa, meno invasiva e frammentata, che possa lasciare spazio alla didattica, specie in una fase così delicata.
Gli edifici pubblici dei quartieri e delle biblioteche quali garanzie in meno offrono rispetto alle aule delle scuole? È una questione di sicurezza, una paura per la riorganizzazione di tutta la macchina elettorale e per il disorientamento dell’elettorato, specie quello più anziano? Si pongono problemi di accessibilità e diritto al voto per persone con disabilità o difficoltà di locomozione?
Sono le domande del cittadino medio a cui sarebbe importante rispondere con una comunicazione chiara in tal senso. Che figura ci fanno la Scuola, il Comune, lo Stato davanti a delle famiglie che vedono i figli riprendere le lezioni dopo tanti mesi per poi doverle sospendere immediatamente per allestire le cabine per votare ad un referendum dove si prende una decisione sulla rappresentatività e sui processi democratici?