“La vita dolce”, ecco come può rinascere il centro di Bologna

Qualche segnale di ripresa c’è: i turisti ritornano in formato famiglia, non di tour organizzati. E se gli alberghi ancora non riaprono e i taxi lavorano a ritmi ridotti, almeno gli Airbnb e i turni doppi o tripli ai ristoranti, così come i Red Bus che mica viaggiano vuoti, indicano che qualcosa si muove. Attratto soprattutto dal cibo. Non a caso ci chiamano “la Grassa”. Una cosa di cui non dobbiamo vergognarci: le nostre strade sono belle anche per tutti quei tavolini. Un film dal titolo diverso da quello romano

di Luca Corsolini, giornalista


Li vedi, li senti: i turisti son tornati. «A dire il vero – precisa una hostess di Red Bus incontrata da WellDone – noi abbiamo ripreso l’attività da due mesi, e non viaggiamo mica vuoti». Le vedi, le senti: sono famiglie, non ancora i gruppi organizzati. Poi spariscono, cittadini di quella città invisibile che si chiama Airbnb: all’ultimo controllo, più di 300 indirizzi disponibili, vuol dire che han ripreso tanti, se non tutti.

Ma la città invisibile si allunga e si allarga fino a comprendere gli alberghi: mezza città aspetta settembre con ansia, paura quasi; l’altra mezza ha colorato il calendario di qualche speranza che gli alberghi riaprano. Al momento pochi ci provano, perché ancor meno ce la farebbero e di nuovo la crisi presenta due conti: quello salatissimo dei posti di lavoro a rischio, e quelle di ferite profonde e che non vedi, spazi che hanno bisogno di essere occupati per non sfiorire.

Settembre. Gli alberghi, le fiere sono, insieme, la sfera di cristallo attraverso la quale vorrebbero vedere il loro futuro pure i tassisti: il 5 settembre con l’ultima rotazione finisce la loro povera estate di turni 4+4 che non è la composizione di un coro ma la fotografia di un mese in cui si lavora la metà dei giorni, e non gira tanta gente, e l’altra metà si sta a casa.

La nostra vacanza sociologica finisce, ovviamente, a tavola. I giornali e i resoconti che ci fanno da guida dicono che il centro soffre, va meglio in periferia. A parte il fatto che mi piacerebbe sapere come è catalogata via del Pratello in questa estate di tanti bolognesi rimasti a casa, forse per concludere che è una categoria a parte, né centro né periferia, semplicemente via del Pratello, coi tavoli dei ristoranti dove è più facile contare, per evidenza, le presenze invece che le assenze. Il centro sembra passarsela bene, che può anche essere tradotto così: non male.

Provo da Temakinho, il ristorante nippobrasiliano che ha appena aperto in via Farini, un locale che intanto è un piacere per gli occhi. Arrivo per tempo, chiedo un tavolo per due, niente da fare: mi rimandano alle 21.30, al secondo turno, per avere un posto. Arrivano tutti: i turisti, e una certa Bologna ben felice di frequentare un ambiente elegantemente giovane, traduzione cittadina di una catena che aprirà presto anche a Montecarlo.

I turni sono la misura del successo di un ristorante dopo il Covid: ci sono meno posti, bisogna arrangiarsi con gli orari. Dario Chan, il mago dietro le quinte di tanti successi nella ristorazione a Bologna, creativo alla perenne vigilia di qualcosa, mi racconta ammirato il record di Martucci, gran pizzeria a Caserta: tre turni a pranzo, cinque a cena, a dire che ci sono affari buoni anche dopo il Coronavirus, bisogna rimboccarsi le maniche.

La sera dopo provo da Vito, a San Luca: le va bene un tavolo all’interno? Mi va bene, cercavo il fresco ma pazienza, i tavoli fuori occupati sono un bel venticello, e forse va bene anche a Bologna questa ripresa comunque difficile: siamo la Grassa, non dobbiamo vergognarcene e magari dovremmo essere più indulgenti col nostro centro che è cercato per questo, perché è l’ombelico dell’Italia che mangia disegnato dai tortellini. E il nostro centro è bello anche per tutti quei tavolini, per il maxischermo sul Crescentone, per il nostro modo di essere quasi in un film quotidiano che traduce il titolo romano in un più bolognese “La vita dolce”.

Photo credits: Bianca Ackermann


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