150 anni dalla Breccia di Porta Pia. Eppure la “devolution” fu inventata dalla Bologna papalina

Lo Stato della Chiesa assecondò, prima del secolo buio della Restaurazione, le spinte autonomistiche che venivano dalla Capitale del nord, come la definivano i Pontefici. Il decentramento era frutto di un accordo secondo il motto “nulla senza il Senato nulla senza il Legato”. Insomma, era accettato un contropotere locale, basato a Palazzo Apostolico, oggi Palazzo d’Accursio, dove per tre secoli si confrontarono l’ “eccelso Senato” e il Cardinal Legato. L’ateneo bolognese fu il primo in Europa ad assegnare cattedre alle donne: lo fece nel ‘700, prima della nascita dello stato laico

di Angelo Rambaldi, giornalista


Domani, domenica 20 settembre, saranno 150 anni dalla fine del potere temporale dei Papi. Con la breccia di Porta Pia, Roma divenne infatti capitale del nuovo Stato sabaudo. Nel 1929 i Papi riacquistarono la loro sovranità, pur sul minuscolo Stato Vaticano, che fu confermata nella Costituzione dell’Italia repubblicana nel 1946.

Le origini dello Stato della Chiesa non furono certo quelle della “donazione” dell’Imperatore Costantino, editto enunciante concessioni favorevoli alla nascita del potere temporale dei pontefici: come si dimostrò nel ‘400, era un falso scritto secoli dopo. Il vero inizio è quando, dai principi tedeschi, fu eletto Imperatore il Conte Rodolfo D’Asburgo, il primo Asburgo di una lunga storia. Il 30 giugno 1278 il nuovo Imperatore consegna a Papa Nicolò III la bolla che conferma la validità giuridica dello Stato della Chiesa e ne traccia i confini che, pur con qualche modifica, saranno tali per seicento anni.

Fino all’inizio del’500 per la verità il Governo pontificio si era svolto nei secoli precedenti con significativa intermittenza: a periodi di “Bologna papale” si susseguivano periodi, anche lunghi, di domini del Comune o, fra ‘300 e ‘400, governi di Signorie. Prima i Pepoli, poi i Bentivoglio, che tuttavia furono Signorie di fatto ma mai di diritto. Nel 1506 Papa Giulio II, entrando in Bologna dopo la cacciata di Giovanni II Bentivoglio, diede inizio a tre secoli di stabile dominio pontificio.

Bologna era, sin dal Medioevo, fra le più popolose e grandi città d’Italia e d’Europa, ma non riuscì mai a divenire “Città Stato”. I Papi consideravano Bologna la loro “capitale del nord”, e sia con la politica che con la forza imposero la loro autorità sulla città. Ma nel 1447 Bologna e il Papa Nicolò V scrissero insieme una serie di Capitoli che regolavano i rapporti fra il Sovrano Pontefice e la città, cui fu accordata notevole autonomia, quale nessun’altra nello Stato Pontificio aveva. Perché tutto ciò fosse effettivo, si dovettero attendere la caduta dei Bentivoglio e Papa Giulio II, che confermò i Capitoli e il numero dei Senatori che rappresentavano il Governo della Città.

Non è quindi un paradosso sostenere che la “devolution”, il decentramento Stato centrale-città annessa, lo inventarono i bolognesi con secoli di anticipo. Al punto che Bologna, pur facendo parte di quello Stato, aveva il diritto di avere a Roma un proprio ambasciatore. Il senso dell’accordo si esemplificava col motto che, in italiano, diceva “nulla senza il Senato nulla senza il Legato”.

Il Senato dal ‘600 in poi si riuniva nel palazzo che oggi si chiama D’Accursio ma che per secoli era il “Palazzo Apostolico”. Era situato al primo piano, ove oggi vi è la Sala rossa. La sala dell’odierno Consiglio Comunale era l’anticamera. Al secondo piano invece era la sede del Cardinal Legato. Non sempre ma per lunga consuetudine i Cardinali Legati avevano alti incarichi governativi romani e quindi, di fatto, governava il Vice Legato. Come il Cardinal Cesi, che fu il magnifico ideatore della nuova sistemazione urbanistica da cui nasceranno la fontana e la piazza del Nettuno, il Palazzo dei Banchi e l’Archiginnasio, nuova sede unificata dell’Università. Eppure il Cardinal Cesi è costantemente ignorato dalle Istituzioni quando si parla del Nettuno.

Per impedire tentazioni di personalizzazione del potere, la massima carica – il Gonfaloniere di Giustizia – veniva svolta alternativamente ogni bimestre. Il Senato era diviso in Assunterie, una sorta di assessorati per ogni ramo della pubblica amministrazione. In questo quadro istituzionale i professori universitari, che erano quasi tutti borghesi, non volendo dipendere dal potere governativo locale e romano per le risorse economiche, i loro stipendi e il funzionamento dell’Ateneo erano riusciti a essere titolari della Gabella Grossa, che riscuoteva parte delle tasse. In età del Cardinale Lambertini e del suo Pontificato, parte del Senato tentò una riforma, ma solo in parte ci riuscì. Anche se va ricordato che il ‘700 fu il secolo dell’Accademia delle Scienze di Luigi Ferdinando Marsili e soprattutto quello in cui, per la prima volta, in Italia e in Europa, ben quattro donne ebbero l’onore di una cattedra universitaria.

Il Senato aristocratico riuscì a farsi indentificare dalla popolazione bolognese quale difensore della libertà e dell’autonomia della città. A Bologna nei tre secoli di Governo senatoriale legatizio non si svolsero mai avvenimenti di ribellione. Così il compianto professor Paolo Colliva scrisse sulla Bologna senatoria legatizia: “…una struttura costituzionale che sappia durare e perpetuarsi per un così enorme numero di anni, deve avere in sé qualcosa di straordinario e significativo, un continuo lavoro di aggiustamento e di reinterpretazione, una intelligente guida politica…”. Il cupo periodo del Governo Pontificio durante la Restaurazione (1815 -1859), in cui il Senato non fu ripristinato, nulla ha da vedere con i tre luminosi secoli precedenti.

Photo credits: Letizia Carabini (CC BY-SA 4.0)


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