Un partito popolare non può limitarsi a evocare antiche tradizioni programmatiche o a ritrovarsi nei riti stanchi delle burocrazie interne (anche esse in via di estinzione) ma deve riflettere, in un processo di continuo aggiornamento, gli orientamenti della comunità per trasformarli in azione istituzionale
di Corrado Caruso, costituzionalista
Nella scelta del candidato sindaco di Bologna sono in gioco il futuro della città e l’anima del Partito democratico, un partito che ha scelto per statuto di affidarsi alle primarie per l’individuazione dei candidati alle cariche più importanti (lo ha ricordato Roberto Bin in un suo recente intervento).
Per lo statuto, le primarie non sono solo un metodo di designazione delle cariche ma sono anche il tratto identitario del Partito. Sgretolatosi il collante ideologico novecentesco, che giustificava il centralismo verticistico tipico dei partiti di ispirazione marxista, l’apertura alla società civile e la trasparenza delle procedure interne evitano l’inaridimento dei partiti, consentendo loro di adeguarsi ai mutamenti e alle evoluzioni sociali riaffermandone l’identità popolare. Un partito popolare non può limitarsi a evocare antiche tradizioni programmatiche o a ritrovarsi nei riti stanchi delle burocrazie interne (anche esse in via di estinzione) ma deve riflettere, in un processo di continuo aggiornamento, gli orientamenti della comunità per trasformarli in azione istituzionale.
È questa l’essenza di un partito democratico e riformista, di una formazione politica che ambisce a cambiare lo stato delle cose. Per tali ragioni oggi, a Bologna, con una soluzione unitaria che latita e in un contesto che vede almeno tre (o forse cinque) candidati in campo, ciascuno portatore di diverse sensibilità e, soprattutto, di differenti visioni della città, l’opposizione alle primarie tradisce un atteggiamento di retroguardia, una concezione elitaria e burocratica che rischia di trasformare il Partito democratico in un club des politiciens, chiuso in una autoreferenziale testimonianza della propria esistenza.
Certo, le contingenze che stiamo vivendo richiedono un notevole sforzo organizzativo, per consentire lo svolgimento in sicurezza della consultazione e quindi la più ampia partecipazione possibile. Non credo però che l’emergenza sanitaria impedisca questo grande appuntamento democratico: in fondo, se ci è possibile acquistare in sicurezza la verdura ai mercatini della città, cosa impedisce di recarci ai gazebo, adeguatamente presidiati e mantenendo la dovuta distanza?
Resta poi il nodo delle regole. Vanno scongiurati i pericoli che ogni primaria porta con sé, e cioè le derive plebiscitarie o l’apertura indiscriminata della partecipazione elettorale, rischi opposti ma egualmente in grado di mettere a repentaglio il processo di investitura democratica e il nesso di rappresentanza politico-territoriale (non mi pare abbia molto senso, ad esempio, aprire ad elettori che non risiedono nel territorio comunale).
Di questi e altri problemi pratici è necessario discutere, non certo delle alchimie interne o di questioni di piccolo cabotaggio. Se non ora, quando?
Photo credits: Charles Wiriawan (CC BY-NC-ND 2.0)