«Il Pd che vorrei…»

…è un partito che non abbia vergogna di schierarsi, di fare quelle battaglie che sono proprie di chi sta a sinistra. Esso «avrebbe il coraggio di parlare alla gente già in occasione delle elezioni del sindaco di Bologna. Avrebbe il coraggio di uscire dalle stanze dei propri apparati e delle istituzioni che occupa e di affrontare un pubblico confronto nelle Primarie. Avrebbe l’intelligenza di capire che i voti si conquistano con le idee e non con gli accordi sottobanco»

di Roberto Bin, costituzionalista


Il Pd che vorrei è un partito che avesse l’orgoglio di appartenere alla tradizione della sinistra. Perché non è affatto vero che destra e sinistra siano la stessa cosa. Investire nella scuola pubblica e nella sanità pubblica, per esempio, è di sinistra, favorire le privatizzazioni dei servizi essenziali è di destra; limitare l’abuso edilizio è di sinistra, togliere “lacci e lacciuoli” alla proprietà e all’iniziativa individuale non lo è. Devo continuare?

Un partito che abbia l’orgoglio di appartenere alla sinistra non deve pensare prioritariamente alle alleanze. Questa è una visione tipica di chi vive una politica separata dalla società, fatta di segreterie e di presidenze, tra gente che si dà del tu e tutto sommato, nonostante la diversa casacca partitica, condivide gli stessi interessi di tipo sindacale e si aiuta a sopravvivere nei luoghi di comando della società. Sono una “casta”, ma soprattutto sono coloro che spengono il desiderio di politica della gente. La quale – è vero – ha altro da fare che di occuparsi di politica, se questa è interpretata come infinita diatriba su chi sta con chi e chi occupa scranni e sgabelli, una politica fatta di incomprensibili polemiche sul nulla.

È una politica deprimente, che non affronta mai le cose da fare ma si interessa soltanto del problema di chi avrebbe il potere di farle. Renzi detiene attualmente il titolo mondiale di questo modo di fare politica: forte del 2% che gli stimano i sondaggi urla e strepita, minaccia e trama nella speranza di raggranellare qualche percento in più – lui che ha dissipato il 40% dei consensi che gli italiani gli avevano accreditato quando sembrava che fosse lui destinato a cambiare il mondo deprimente della politica italiana.

Il Pd che vorrei capirebbe che vincerebbe facilmente le elezioni – del Sindaco di Bologna, per esempio – se solo dicesse apertamente e orgogliosamente che cosa vuole. Se si rivolgesse a quelle larghe masse di italiani che si mobilitano quando c’è una battaglia che susciti la loro passione: le donne che scendono in piazza issando lo slogan “se non ora quando”, le manifestazioni per l’acqua pubblica, i giovani mobilitati da Greta Thumberg o dalle “sardine”, le stesse folle attratte da Grillo sono tutti movimenti della società che affiorano mossi da grandi slogan, dietro ai quali ci sono grandi aspirazioni sociali.

Il Pd che vorrei è di questo che dovrebbe essere interprete. Dovrebbe prendere posizioni nette anche su temi divisivi, quali la cittadinanza acquisita per “ius culturae”, l’abolizione di quella vergogna che è la Bossi-Fini e l’avvio di un processo intelligente (e non fascista) di integrazione degli stranieri, lo sradicamento del “modello lombardo” di sanità privatizzata, l’urbanistica a “consumo zero” del territorio ecc. Questo significherebbe avere l’orgoglio di esprimere un’etica di sinistra.

Naturalmente il Pd che vorrei si farebbe un sacco di nemici, perché avrebbe il coraggio di essere “divisivo”. Non cercherebbe di tessere alleanze e intese con gli interessi forti, il così detto “centro” cioè le parti “moderate” della politica, le conventicole in cui fermentano gli interessi dello status quo; non avrebbe come suo obiettivo “politico” quello di stringere alleanze al centro e intese con le associazioni di categoria. Il candidato sindaco che vorrei non cercherebbe il consenso delle confraternite o delle associazioni economiche. Non stanno là i voti: i voti sono nella società, e la società attende un politico che ne interpreti le grandi speranze e i sogni mai realizzati.

Sono migliaia e migliaia i cittadini che si mobiliterebbero per progetti ambiziosi che facessero della loro città un modello avanzato di tutela dell’ambiente, di sviluppo urbanistico, di gestione della casa, del traffico, di organizzazione dei servizi, del verde pubblico ecc.

Il Pd che vorrei avrebbe il coraggio di parlare alla gente già in occasione delle elezioni del sindaco di Bologna. Avrebbe il coraggio di uscire dalle stanze dei propri apparati e delle istituzioni che occupa e di affrontare un pubblico confronto nelle Primarie. Avrebbe l’intelligenza di capire che i voti si conquistano con le idee e non con gli accordi sottobanco. Avrebbe la cultura della propria tradizione autentica e l’ambizione di diventare un modello per l’Italia intera.


2 pensieri riguardo “«Il Pd che vorrei…»

  1. BRAVO! Come sempre Bin riesce a focalizzare i problemi in modo chiaro e diretto. Condivido pienamente la sua analisi

    1. Mentre leggevo ho continuato a pensare che proprio queste idee Renzi sta perseguendo, con il suo 2%. E non sono renziana.

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