Quando riciclare era una cosa seria: il rame sotto le Due Torri

Materiale duttile e malleabile e tra i più riutilizzati. I battirame si concentravano in tre zone: quella dove scorre via IV Novembre, la Volta dei Pollaroli in via Ugo Bassi, le basi di Asinelli e Garisenda. Le ramerie-fonderie richiedevano grande forza idraulica, per cui sorsero al Battiferro della Beverara e alla Canonica di Casalecchio. Nell’800 si aggiunse quella del Bontempelli al Maglio di Pontecchio. Quei vecchi oggetti oggi decorano le pareti di cucine e trattorie: altro moderno riuso

di Giancarlo Dalle Donne, archivista


Andando per trattorie e ristoranti di Bologna (quando si poteva), capitava spesso di trovare oggetti in rame di ogni tipo, il più delle volte appesi alle pareti, come elementi decorativi: padelle, secchi, paioli, pentole, caldaie, un tempo frequentissimi nelle cucine di tutte le abitazioni, sia urbane che rurali, sia aristocratiche che popolari.

Si acquistavano dai molti battirame che avevano bottega a Bologna, almeno fino a inizio ‘900. Erano concentrati in tre zone specifiche: Via delle Asse (attuale via IV novembre), Volta dei Pollaroli (primo tratto di via Ugo Bassi) e nei voltoni alla base della torre Asinelli e della “Torre Mozza” (così La Garisenda è contenta). Intorno al 1840 contavano ben ventisei “negozi di manifatture di rame.

Cucina del palazzo Montpensier (attuale sede della Prefettura). Riproduzione in miniatura con oltre 300 pezzi realizzata nella bottega Rizzi (battirame sotto la torre degli Asinelli), metà sec. XIX (Genus Bononiae)

All’inizio del secolo scorso furono quasi tutti chiusi, anche perché – detta come va detta – il continuo martellare sulle incudini faceva un gran casino, insopportabile nel centro della Bologna in via di modernizzazione. I battirame ricevevano dalle ramerie-fonderie oggetti semilavorati sui quali intervenivano, all’incudine, applicando manici, anelli di rinforzo ai bordi, “orecchie”, e via dicendo. A quel punto erano pronti per essere venduti.

Nel bolognese, fino al 1820, le ramerie-fonderie che, necessitando di energia idraulica per muovere i pesanti magli, dovevano trovarsi in prossimità di corsi d’acqua, dove la potenza dei canali, e i dislivelli, erano particolarmente elevati, erano solo due. La più antica, nata nella seconda metà del ‘500 su iniziativa di due imprenditori bolognesi, si trovava al Nord della città, al Battiferro della Beverara. Ad essa se ne aggiunse un’altra, a sud, alla Canonica di Casalecchio di Reno (documentata dal 1641).

Poi, nel 1815 dal Trentino (Pellizzano, in Val di Sole) arriva a Bologna tal Pietro Bontempelli, che entra in società con la ditta “Giuseppe Bontempelli e c.”, che gestisce un negozio di rameria nel centro di Bologna, in via de’ Gargiolari. Nel 1819 la società iniziò la costruzione dell’edificio che doveva ospitare la rameria del Maglio di Pontecchio, che nel 1873 si trasformò nella Cartiera del Maglio. Dunque, a partire dal 1820 le ramerie/fonderie divennero tre, con l’irrompere sulla scena bolognese di Pietro Bontempelli.

Le ramerie-fonderie, a loro volta, ricevevano il rame da due fonti: innanzitutto il cosiddetto “rame rosetta”, importato da Austria e Germania (ma anche da Inghilterra e Turchia) in pani o pizze  di ottima qualità, “garantito al maglio” e adatto per le preparazioni di maggior pregio, destinate ai ceti più abbienti.

La seconda fonte era il riciclo rame vecchio o rotto, recuperato il più delle volte in campagna, che aveva già avuto una precedente vita (e magari anche più di una) e che una volta fuso e lavorato al maglio, si trasformava in qualcosa di nuovo e di diverso. Questo perché il rame aveva – e ha – la caratteristica di poter essere facilmente riciclato, anche ripetute volte, grazie alla fusione in fonderia.

Ma come avveniva l’operazione di recupero degli oggetti in rame da riciclare? Le fonderie avevano messo in piedi una fitta rete di clienti/fornitori, soprattutto in Romagna e nel ferrarese, che recuperavano in zone rurali il materiale vecchio o rotto, terminato il loro ciclo di utilizzo, e lo facevano pervenire alle fonderie, per il riutilizzo. Il meccanismo era il seguente: il rame vecchio o rotto veniva raccolto nelle campagne e inviato alla ditta Bontempelli nel magazzino/negozio di Bologna; successivamente,  trasportato nella fonderia di Pontecchio o del Battiferro per essere fuso e ridotto in rame cavo, semilavorato, sotto forma di caldaie, calderine, calcedri, padelle, scaldaletti, luselli, catini, cazzarole, mestoli, paioli, secchi, paroli, alambicchi, conche. Infine, rimandato,per la successiva commercializzazione in Romagna e nel Ferrarese, ma anche nella stessa Bologna, nelle botteghe dei battirame, che provvedevano alle rifiniture e a creare il prodotto finito.

Le informazioni, qui illustrate in forma sintetica, sono ricavate grazie al ritrovamento di un frammento dell’archivio dell’imprenditore Pietro Bontempelli.

In copertina: Botteghe di battirame sotto le due torri, pre 1871 (www.bolognachecambia.it)


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