Le immagini dei negazionisti bolognesi e quella terribile voglia di repressione

Quanto successo nei giorni scorsi in via Stalingrado, con l’aggressione ai giornalisti di Repubblica da parte di alcuni negazionisti aderenti alla protesta #IoApro, interroga anche lo spirito più progressista sul difficile equilibrio tra sicurezza e libertà personale in tempi di populismo. Dalla Bolognina al Congresso americano la strada non sembra poi così lunga

di Andrea Femia, digital strategist cB


Dopo aver visto le immagini delle aggressioni al cronista di Repubblica Valerio Lo Muzio, oltre allo sgomento e all’incredulità, salgono alla testa tanti interrogativi su come si sta al mondo quando le istituzioni si rivelano meno autorevoli (ma non per questo più deboli) di quanto vorremmo. Era successo già il 6 gennaio con l’assalto a Capitol Hill, a dimostrazione di come il 2021 non sia partito proprio sotto i migliori auspici.

In quel caso le mura di Bologna non erano così vicine, ma il corpo centrale della vicenda era lo stesso. Molti di noi infatti, persone progressiste e generalmente autodefinitesi di sinistra, hanno guardato le immagini provenienti da Washington e si sono trovati di fronte a un dubbio che suona più o meno così: “ma perché non gli fanno nulla? Perché i prepotenti finiscono sempre per essere impuniti?”

Quando abbiamo visto quella manifestazione Qanonista, uno dei primissimi meccanismi disfunzionali che ci ha messi di fronte ai nostri desideri ancestrali è stato quello relativo alla repressione delle proteste del Black Lives Matter. Come a dire che tutto sommato non sarebbe dispiaciuta, a noi progressisti, una reazione un po’ più violenta, un po’ più forte, un po’ più autoritaria da parte delle forze dell’ordine.

E la stessa cosa, nei fatti, ci è successa pochi giorni fa di fronte alle immagini che da via Stalingrado hanno fatto il giro di tutta Italia, mentre l’intero pianeta è al collasso in attesa che Dio – o chi per lui, sperando indossi un camice – faccia il miracolo di rendere questa pandemia meno pedante. Dalla Bolognina al Congresso americano la strada non è sembrata poi così lunga.

Da alcuni giorni in città e nel Paese ha preso il via la campagna  #IoApro, contro le chiusure delle attività non essenziali varate dal Governo. La protesta è apparentemente senza alcuna logica, ma l’ultima cosa che bisogna fare, in questi casi, è ergersi su un dannato piedistallo e pensare di poter decidere di fare di tutta l’erba un fascio. Quest’ultimo termine non è usato in modo casuale, ma non c’era forse neppure bisogno di spiegarlo.

La protesta di per sé si propone di mettere in evidenza alcune lacune che – sfortunatamente – sono lasciate politicamente nella bocca e nella voce di chi non rispecchia minimamente il mio modo di vedere la vita.

Eppure, da titolare di Partita Iva, non posso non tenere in considerazione il fatto che quando le persone si trovano costrette a prendere delle iniziative illegali al fine di garantirsi la sopravvivenza, sottovalutare il problema – o peggio  ironizzarci – rende i sottovalutatori dei terribili esemplari di esseri umani.

Una cosa totalmente intollerabile, però, sono quelle scene di totale sfida e sconfortante strafottenza che sono culminate in una terribile serie di minacce ad un cronista, soltanto perché lo stesso si stava preoccupando di raccontare la verità. Una verità non mediata in alcun modo. Niente che non fosse una videocamera e la scena che gli si parava davanti.

Per quale motivo una persona che si dice fiera del suo comportamento dovrebbe trovarsi a minacciare un cronista, che quel comportamento lo racconta? Di fronte a questa domanda, di fronte a questa automatica forte voglia di giustizia, il primo pensiero che può passare per la testa è “ma ci sono le forze dell’ordine lì, perché non gli fanno nulla?”.

La risposta è che è giusto così. Viviamo in uno Stato nel quale la violenza, fortunatamente, è l’ultima arma da tenere in considerazione. La prepotenza non si combatte con la repressione violenta. La credibilità delle istituzioni, citata anche dal sindaco Merola, deve trovare una via di mezzo che non dimentichi mai di mediare tra un sentimento populista di giustizia e ciò che, invece, gli Stati moderni hanno scelto di seguire come significato di Giusto.

Soprattutto quando è più difficile, c’è da tenerlo a mente e andarne fieri. Così da poterne fieramente combattere le distorsioni quando le stesse si presenteranno ancora.


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