Napoleone a Bologna

Due curiosi aneddoti sulla visita dell’imperatore all’inizio dell’800. L’origine di Villa Aldini e il “salvataggio” di San Michele in Bosco

di Angelo Rambaldi, giornalista


Dopo che alla fine di Maggio del 1805 Napoleone a Milano (città da lui prediletta) si era messo in testa la corona ferrea di Re d’Italia, l’Imperatore ai primi di giugno arrivò a Bologna. Per l’occasione Porta San Felice fu resa molto più alta per consentire un vasto accesso alla città con grande arco a sesto acuto, mentre subito fuori porta vari padiglioni accoglievano dignitari del nuovo Governo della città (voluto sin dal 1786 dai francesi). Arriverà pure l’Imperatrice che, per il momento, era ancora Giuseppina. 

Nel nuovo Regno d’Italia napoleonico, Bologna, all’interno del centralismo francese, come le altre città dell’Emilia-Romagna, aveva un ruolo secondario totalmente subalterno a Milano. Il Regno d’Italia di Napoleone prevedeva il Piemonte, la Liguria, la Lombardia e, appunto, l’Emilia-Romagna. Non il Veneto e Venezia. Napoleone aveva passato l’antica Repubblica di Venezia, come fosse un bagaglio da viaggio, all’Austria in base al trattato di Campoformio.

Un breve inciso per ricordare che Napoleone fu all’origine delle tragedie novecentesche del confine orientale dell’Italia post unitaria. Infatti, in base al trattato di Campoformio, passarono all’Austria anche le città di chiara identità italiana (perché facenti parte dello Stato veneziano da secoli) come Pola in Istria e le città rivierasche della Dalmazia come Zara. Trieste in questo sommovimento non entrò perché, fin dal 1372, si era data volontariamente agli Asburgo che ne fecero il porto sviluppatissimo e ricco dell’entroterra mitteleuropeo. 

Delle giornate di Napoleone a Bologna ecco due episodi curiosi, uno dei quali potenzialmente pericoloso. Scrive Giuseppe Guidicini nel suo “Diario bolognese dall’anno 1796 al 1818”, nella giornata del 24 Giugno 1805 «…dopo le ore otto in compagnia dell’Imperatrice, in carrozza con sei cavalli, è andato al casino Marescalchi a Mezzaratta (a metà strada per la via dell’Osservanza), dove dal suo Ministro degli affari esteri ex senatore Marescalchi è stato servito di una magnifica colazione». Guidicini non dice, ma questo è certo, che Napoleone dalla villa Marescalchì salì, sono poco più di 500 metri, sulla cima del colle dove vi era la chiesa e il convento della Madonna del monte. Non vi sono riferimenti scritti ma una tradizione accreditata narra che Napoleone alla vista dello splendido panorama che si vedeva, e si vede, da quel luogo, abbia esclamato: «Che bel panorama! Qui ci starebbe bene una villa!».  

Era al seguito dell’Imperatore anche un altro Ministro bolognese, Antonio Aldini. Detto fatto, il solerte Aldini dal giorno dopo si mosse. Espropriò la chiesa e il convento, buttò giù tutto (si salvò un’antica rotonda romanica, presente ancora oggi) e, dato che c’era, distrusse anche parte del vicino convento e la chiesa dell’Osservanza. Con quel materiale edile eresse quella che ancora oggi è un buon esempio di architettura neoclassica, Villa Aldini, per altro all’interno incompleta. 

La villa avrebbe dovuto essere la residenza bolognese di Napoleone quando fosse tornato a Bologna. Ma a Bologna non tornò più. 

Due giorni prima, il 22 Giugno, Bonaparte alla mattina era arrivato a cavallo con il seguito ai piedi del poggio di San Michele in Bosco, dove oggi corre via Codivilla. Scrive sempre il Guidicini: «Il Sovrano è salito, o per meglio dire, si è arrampicato sul colle di San Michele in Bosco, a cavallo di uno stornello arabo. Era vestito in piccola uniforme e senza segnale nel cappello». Napoleone si inerpicò solo, fra l’ammirazione del suo seguito. Anche qui Guidicini non dice, ma esiste una diffusa voce tradizionale che, giunto nel piazzale della chiesa, che non era stata soppressa (l’attiguo grandioso convento era stato invece trasformato in carcere con oltre 1.000 detenuti, uomini e donne) uscì dalla chiesa un sacerdote ad omaggiarlo. Al quale Napoleone diede un’elemosina.

Il pericolo scampato fu che Napoleone, come detto, era giunto alla sommità da solo e senza compagnia, e quella volta non disse, come sull’Osservanza, «che bel panorama». In caso contrario, se avesse pronunciato la fatidica frase, si sarebbe corso il rischio che qualche dignitario napoleonico decidesse di buttar giù tutto, chiesa e convento e costruire, anche il quel luogo, un’altra villa napoleonica.


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