Un battito d’ala a Roma può cancellare una tessera a Bologna?

Il sacrificio di Zingaretti rischia di essere l’ultima spiaggia. Se perde la sua calma forte e se vincono quelli che, pensando a sistemare le pedine sullo scacchiere più che a salvare il Paese, hanno spinto il segretario alle dimissioni, allora è la fine della speranza di salvare l’ultimo baluardo della democrazia. Senza un Pd forte e unito, e se la gente si pente di essersi iscritta, anche guidare Palazzo d’Accursio sarà impresa impossibile

di Giampiero Moscato, giornalista


Il passo di lato di un romano di Roma come Nicola Zingaretti scatena reazioni a catena che dal Nazareno arrivano fin dentro il portafogli di ogni iscritto di Bologna, laddove è custodita la tessera del Pd. È il famoso effetto farfalla, ipotizzato da Edward Norton Lorenz: un battito d’ala in Brasile può scatenare un tornado in Texas. Ma questo non è un colpo d’ala: è una picconata, demolitrice, a un modo di fare politica. E Zingaretti non è un delicato lepidottero: date le circostanze in cui ha gestito il suo ruolo difficile, è più Sansone che Vanessa.

Al di là delle parole del segretario dimissionario – e dei commenti degli amici veri o presunti, degli avversari più o meno leali, dei politologi e degli editorialisti – conta anche l’effetto che notizie come questa, mentre è in pieno corso la terza guerra mondiale (cos’altro è quella che stiamo combattendo contro il Covid tra nazioni nemmeno divise ma proprio nemiche?), hanno su chi vede nel Partito Democratico l’ultimo baluardo della democrazia costituzionale così come l’abbiamo conosciuta e vissuta.

Da quando si ha la possibilità diretta di misurare gli umori del mondo circostante, frequentando le piattaforme social, ognuno di noi sa quanto sia montata l’insoddisfazione verso il ceto politico. Qualcuno purtroppo l’ha cavalcata per costruire fortune personali e molta gente ha seguito magari con molta fiducia e entusiasmo proprio i mestatori, più capaci di lucrare sul disprezzo che costruire. Altri hanno puntato sull’uomo forte, addirittura meglio se solo al comando. In tanti, tantissimi hanno abbandonato il Pd, in questi anni.

Pochi (pochini davvero) hanno fatto il percorso inverso. Sono approdati al partito nemmeno tanto perché avvinti dalla sua politica (hai voglia a essere ottimisti, non si può esagerare) ma perché hanno immaginato che – senza il Pd – sarebbe potuto crollare o anche solo indebolirsi il fragile ma indispensabile castello di carte che è la nostra democrazia parlamentare. Difenderla è un dovere di tutti se si pensa a quanto sangue si sia dovuto versare per costruirla: la bella gente che si vede nelle sezioni e alle feste dell’Unità, purtroppo sempre più rada e incanutita e con scarsi innesti, spiega quella nuova fiducia arrivata a un partito che a differenza d’altri non si è ancora estinto ma purtroppo non si sente molto bene.

Zingaretti ha incarnato questa speranza di una politica capace di dialogare senza urlare e insultare e così costruire. Ha ereditato un partito allo sfascio e ha dovuto accettare il patto innaturale di governo con un movimento che chiamava i Dem “quelli di Bibbiano” e che aveva firmato con orgoglio esultante il vergognoso, anzi umiliante decreto sicurezza di Salvini. Impresa disperata, la sua. E invece oggi di lui Conte dice che Nicola è un leader solido e leale. Di Maio si spinge pure oltre. Non ha ceduto Zingaretti. Sono cambiati loro. Diventando europeisti, democratici e addirittura liberali. Il Pd è l’unico partito che non ha dovuto fare giravolte. Ha sostenuto all’opposizione le cose che ha fatto al Governo e non ha dovuto cambiare parole d’ordine. Pensiamo invece ai funamboli della Lega e del M5s e alle piroette che hanno fatto sulla fune.

Non tutto va bene nel Pd di Zingaretti. Ma la calma forte che l’ha guidata in questa era geologica terribile per il clima e per l’homo politicus rischia di mancarci come l’aria. Anche a Bologna, in cui era evidente in alcuni asset del partito la speranza (in altre componenti il fastidio) che Roma riportasse pace in una federazione in cui, come al Nazareno e addirittura al Governo, sembravano prevalere più gli interessi alle poltrone che i destini della comunità.

Contro queste spregiudicatezze si erge il sacrificio dell’ultimo segretario. Piantatela o siamo finiti tutti, grida dimettendosi. Se lui perde questa battaglia rischia di svanire quella speranza di ritorno a una politica construens a cui si erano attaccati molti di quelli che avevano deciso nemmeno di rinnovare, ma di firmare ex novo la tessera del Pd. Deludere loro è togliere base al futuro del famoso ultimo baluardo. Senza un Pd federatore non c’è candidato che possa fare buona politica o amministrare come si deve una città: che sia il Nazareno o Palazzo d’Accursio.


2 pensieri riguardo “Un battito d’ala a Roma può cancellare una tessera a Bologna?

  1. Caro Giampiero, hai scritto molto bene. Sono d’accordo su tutto: i contenuti e la passione

  2. non credo molto alle manifestazioni di solidarietà giunte a Zingaretti dai maggiorenti del suo partito, alcune delle quali decisamente “pelose”; ma mi pare che stia montando a favore di Zingaretti, una vera onda di popolo; è il suo popolo a chiedergli di ripensarci e a quello non può non dare ascolto; quelli che pensavano di fargli le scarpe con questo logorio estenuante, se sono anche solo minimamente avveduti, faranno non uno, ma dieci passi indietro

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