Nel bicentenario della morte bisognerebbe celebrarne i meriti, come il Codice Napoleonico e la concessione dei diritti civili agli ebrei. Ma c’è chi vuole ricordare pure che Bonaparte voleva un’Italia vassalla e, cancellando la Repubblica di Venezia, devastò millenarie realtà italiane a Oriente. Giunto in città, ordinò razzie di opere d’arte e ricchezze e soppresse il vecchio welfare privato delle Confraternite religiose: gli effetti sulla povera gente furono devastanti e la criminalità esplose
di Angelo Rambaldi, “Bologna al Centro”-“L’Officina delle idee”
Cade il bicentenario della morte di Napoleone Bonaparte (Ajaccio, 15 agosto 1769 – Longwood, Isola di Sant’Elena, 5 maggio 1821). Il futuro Imperatore era nato un anno prima che la Corsica fosse ceduta alla Francia dalla Repubblica di Genova, esausta dal ribellismo corso. La famiglia era di sicura origine italiana ma Napoleone aveva, da giovane, provveduto a cambiarsi il cognome da Buonaparte al più francesizzante Bonaparte.
È naturale che questa figura gigantesca in occasione della ricorrenza sia degnamente celebrata, non sarebbe male laicamente, per le sue eccezionali qualità come Generale ma anche per i suoi meriti civili. Solo due esempi tra i tanti: il Codice Napoleonico, fatto proprio da molte nazioni, e i diritti civili concessi agli ebrei.
Legittime sono pure le osservazioni negative per come nelle nazioni sottomesse, compresi gli Stati italiani, il Regime napoleonico esercitò il suo Governo. Da una parte della storiografia italiana si sostiene che Napoleone fu il pronubo del Risorgimento. L’Italia in effetti rappresenta un caso quasi unico: è il solo Paese in Europa, fra quelli conquistati, in cui coloro che si opposero ai nuovi Governi voluti da Parigi furono consideratati popolaccio, briganti, assassini, reazionari. Anche se per numero di partecipanti le rivolte contadine antifrancesi furono movimenti di massa che né il brigantaggio meridionale (1860-1866) ma nemmeno il Risorgimento italiano ebbero.
Le stesse tragedie degli esodi (1918, 1945) dal confine orientale italiano hanno origine quando il 17 Ottobre 1797, con la pace di Campoformio, Napoleone cancellò la millenaria Repubblica di Venezia in cambio della Lombardia, cedendola all’Austria, compresi i possedimenti che da secoli Venezia aveva in Istria e le città della costa dalmata. Luoghi e città che erano quindi di sicura identità italiana e che il nostro Paese perse anche a causa delle responsabilità tragiche del nazionalismo italiano.
Se Napoleone avesse vinto la sua scommessa gli Stati, anche l’Italia, sarebbero state nazioni vassalle. Il centralismo napoleonico avrebbe concesso libertà di azione quasi nulle. E pure questo è, per l’Italia, una eredità avvelenata del sistema napoleonico. La Francia era sempre stata una nazione a guida politica centralistica. L’Italia, anche a causa della sua morfologia, dalla caduta dell’Impero romano per 1.500 anni fu un Paese diviso fra entità statali diverse. La scelta, dettata anche dalla paura, della borghesia post risorgimentale di fare il nuovo Stato unitario a imitazione di quello prefettizio francese è un’altra eredità negativa della dominazione napoleonica: la causa di molti guai e di quella unità difficile che affligge ancora il nostro Paese.
Preceduto dal Generale Augerau, Napoleone giunse a Bologna subito dopo la mezzanotte del 19 Giugno 1796. I francesi imposero un’enorme dazione di denaro alla città come debito di guerra e poi, non contenti, svuotarono il Monte di Pietà, lasciando i pegni di minor valore. Furono requisiti quasi tutti i cavalli. Poi, su suggerimento di Antonio Aldini che poi diverrà ministro napoleonico (ma non ve ne era bisogno perché quello che accadde a Bologna accadde in tutte le città italiane conquistate dai francesi) fu ordinata la soppressione di quasi tutti gli ordini religiosi conventuali e frati e suore furono ridotti allo stato laicale. Bologna era la seconda città, dopo Roma, dello Stato della Chiesa. Un quinto della superficie del centro storico era occupato da pertinenze religiose. Inoltre vi erano vasti possedimenti agricoli, svenduti a prezzi stracciati e senza indennizzo alcuno dal nuovo generone borghese. Il tutto fu spogliato di qualsiasi opera d’arte o oggetto di valore, che presero la via di Parigi o di Milano.
Ma l’aspetto che ebbe gli esiti più nefasti per i ceti popolari fu lo smantellamento del welfare privato di antico regime, basato sulle confraternite religiose e laicali. Il disegno “rivoluzionario” era la statalizzazione del sistema sanitario assistenziale, che aveva oggettive necessità di razionalizzazione. Ma l’immediata distruzione del sistema ebbe effetti devastanti sulla povera gente e provocò un innalzamento della piccola delinquenza. Occorsero nuove carceri. La più grande prigione fu collocata dentro l’ex convento degli Olivetani a San Michele in Bosco, con oltre 1.000 detenuti. Si potrebbe dire che con Napoleone arrivò a Bologna il capitalismo moderno.