C’è bisogno di un sindaco “di strada”, che metta al centro gli ultimi e operi seguendo poche parole chiave. Per farlo serve una comunicazione attrezzata, in grado di raccontare in maniera trasparente le tante attività di Palazzo d’Accursio
di Fulvio De Nigris, giornalista
Caro sindaco ti scrivo, così mi distraggo un po’. E siccome sei ancora troppo lontano più forte ti scriverò. A ogni nuovo mandato si ripete la sfida. Si ripete l’atto del contendere e il copione già scritto. Una città da rifondare, da non consegnare alla destra.
E a sinistra? Emerge la non confluenza sul candidato che potrebbe avere le maggiori chance, con tutti gli altri che si affannano a dire: “Io ci sono”, “Noi ci siamo”, “Noi allarghiamo i consensi”. Intanto i gazebo rimangono smontati e un senso di noia e rassegnazione pervade il presunto elettorato che vorrebbe vedere un po’ di programmi, quella visione del futuro tanto difficile da prevedere. Il lockdown ci ha negato anche questo. La capacità di vedere il futuro a lungo termine, troppo concentrati sull’oggi e sul domani prossimo. Eppure, se non vogliamo condannarci a sopravvivere, ci dobbiamo aggrappare alle parole per declinare i progetti futuri.
La prima parola è condivisione: vedere tutte le diversità e le differenze, farle proprie e condividerle. Un primo passo verso la seconda parola: integrazione; che vuol dire non solo condividerle, ma farle proprie e metterle insieme per la terza parola: azione. Un passo importante in questa città che incarna il desiderio del fare, avendo progetti condivisi e integrati, assieme alla quarta parola coraggio: il coraggio dell’agire, del fare. Perché nulla è impossibile e si possono fare tante cose, con un coraggio che molto spesso manca. Infine l’ultima parola responsabilità: agire con un senso di responsabilità, quello di chi amministra questa città.
Il profilo del nuovo sindaco? Io amo molto il nostro Arcivescovo Matteo Maria Zuppi e, come per un “prete di strada”, sono per un “sindaco di strada”, un sindaco capace di stare anche con gli ultimi e condividere le problematiche, premiare le iniziative, le idee nuove, per aprirsi alla partecipazione, sua e di un consiglio comunale aperto. E se Bologna non potrà avere una sindaca – io, provocatoriamente, ero per ripartire da Silvia Bartolini perché le ferite si rimarginano andando al peccato originale – che sia un sindaco che possa agire la propria parte femminile, capace di quell’empatia che anche gli uomini riescono ad avere.
Se poi sommessamente posso permettermi, enuncio alcuni suggerimenti. Meno pacche sulle spalle, meno Nettuni d’oro, Turrite d’argento e cittadinanze onorarie, più riconoscimenti concreti, tangibili e sostanziosi a chi li merita e in vita.
Fare tesoro delle esperienze dell’associazionismo e della cooperazione per un welfare partecipato con uno sguardo particolare al mondo della disabilità, delle persone fragili, per una coprogettazione che contrasti la solitudine; restituire un ruolo centrale alle Consulte e dare al Disability Manager quel ruolo e autorevolezza che merita, perché la disabilità non è un mondo a parte ma una parte del mondo. Riorganizzare il sistema teatrale, ampliando anche la rete dei luoghi adibiti allo spettacolo.
E poi, caro sindaco, investire sull’informazione. Ripristinare quell’Ufficio Stampa del suo Comune che negli anni ‘90 era una macchina da guerra nella comunicazione dell’Amministrazione da lei guidata. Non soltanto concentrare tutto nel ruolo del portavoce, ma essere fucina di informazioni, di notizie, di riflessioni, di discussione. Infine, e qui so già di non essere molto popolare, ripristini la rivista del Comune, la faccia ritornare sul territorio.
Insomma metta di nuovo in pista la sfida della comunicazione: quella di una Amministrazione trasparente, sincera e onesta che mantenga sempre le promesse. Perché sull’onda del digitale esploso nel lockdown le edicole hanno resistito. E noi, che oggi vediamo il ritorno del vinile e delle audiocassette, a un bel giornale in mano e all’odore della carta stampata non rinunciamo…