Mettete dei fiori nei vostri portoni

Da anni a Bologna si combatte una guerra ideologica imperniata sopra parole come “decoro”, “sicurezza” e “degrado”. Concetti mutevoli quanto la società che li esprime. In questi giorni nelle sale del MAMbo una mostra di Aldo Giannotti ci interroga sul nostro rapporto con lo spazio pubblico e le sue norme. Un’occasione per riflettere su noi stessi e su ciò che chiediamo all’arte

di Pier Francesco Di Biase, caporedattore cB


“Finirà mai questa rincorsa alla cancellazione di insulsi graffiti/tag?”, si chiedeva l’altro giorno su Instagram il sindaco meneghino Beppe Sala. A giudicare dalle iscrizioni rinvenute sul termopolio recentemente riaffiorato a Pompei, la risposta al primo cittadino di Milano dovrebbe essere un secco quanto leggerissimo “No”.

A Bologna la questione è arcinota e ciclicamente dibattuta, con tanto di considerazioni inattuali sulla genealogia del decoro e sui sistemi di potere. Del resto ormai Michel Foucault è come le piante grasse: sta bene dappertutto ed è ideale anche per chi non ha il pollice verde della filosofia. Ricordo anche, in barba al principio di rimozione, che molto di questo carsico dibattito fu alimentato nel 2016 dalla querelle tra alcuni artisti e Genus Bononiae, quando quest’ultima organizzò a Palazzo Pepoli una mostra dedicata proprio alla street art.

Per quanto convinto che la suddetta querelle fosse indicativa anche di una certa diversità generazionale in termini di concezione e fruizione artistica, non reputo tuttavia che il dibattito intorno all’estetica pubblica e al decoro sia una mera questione d’età. Soprattutto perché, in tal caso, dovrei trovare una dimensione psicanalitica alla posizione di molti miei coetanei, che del contrasto alle tag hanno fatto il punto nodale di un’attività politica – la loro – altrimenti priva di contenuti rilevanti. Ammesso e non concesso che la lotta alle tag lo sia…

Sono passati cinque anni da allora, sessanta dalla Merda d’artista di Piero Manzoni, e nonostante ci sia ancora in città chi si diletta a stabilire insieme al sesso degli angeli che cosa sia arte e cosa no, la società è cambiata e con lei si è evoluto anche il dibattito su cosa possa o non possa rendere più bella la città. Penso per esempio al San Petronio verde di Cucinella, o alla recente proposta di bosco diffuso sotto i portici avanzata da un gruppo di cittadini. Qualche tempo fa idee come queste non sarebbero state nemmeno prese sul serio, oggi invece vengono dibattute e sono il sintomo di un pensiero – e di una moda – che ha cambiato almeno in parte il nostro modo di interpretare lo spazio pubblico.

Anche la street art continua a proliferare, dalla Bolognina a San Donato fino al centro storico, e tanti sono i progetti istituzionali e autonomi che hanno contribuito a sdoganare e a diffondere un’arte concepita per essere urbana e democratica, oltre che a sperimentare nuove formule “museali” partecipate come la Galleria d’Arte Pubblica del Pratello, dove sono i cittadini stessi a offrire serrande, portoni e muri agli artisti affinché possano esprimervi liberamente tutto il proprio talento.

Purtroppo non ho spazio a sufficienza qui per dilungarmi su quali differenze sussistano tra murales, graffiti, tag, stencil e altre più o meno fortunate tecniche di street art. E forse se lo facessi ricadrei inevitabilmente anch’io nell’annoso dibattito sul sesso degli angeli di cui sopra. Perciò mi limiterò a constatare quanto sia difficile considerare un’emergenza qualcosa con cui in Italia si convive almeno dall’epoca di Plinio il Vecchio.

Ma per non arrenderci all’inevitabilità dell’eterno ritorno dell’identico, bisognerà sperare che una qualche sintesi hegeliana a questa eterna “guerra del decoro” ci sia. A tal proposito, da qualche giorno nelle sale del MAMbo è ospitata Safe and Sound di Aldo Giannotti, una mostra che invita a riflettere sulla percezione che ognuno di noi ha rispetto a concetti come sicurezza, protezione e norme sociali, e nella quale ogni visitatore è invitato a interagire con lo spazio museale e a sfidarne le regole, solitamente molto rigide.

Sul muro intorno a The Column, un’installazione volutamente ambigua e accessibile direttamente dalla strada, mi è capitato di leggere quanto segue:

Non ho mai scritto sui muri
ma qui faccio un'eccezione
scopro ora che forse non si poteva
Mi spiace
Comunque non avevo un granché da dire

Non è la prima volta che una scritta su un muro mi si rivela in tutta la sua verità. E voglio sperare che non sarà nemmeno l’ultima. In ogni modo, ho provato a immaginare di ritrovarmi questa candida ammissione d’ingenuità iscritta sul portone di casa, magari impreziosita da una ghirlanda di bouganville in fiore. E per quel poco che mi conosco, lo confesso, credo proprio che non mi dispiacerebbe.

Photo credits: Sarah Abdel-Qader


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