Abbiamo lanciato la seconda edizione delle 6000piantine, che ricalca esattamente la missione di un anno fa: trasformare la natura in cultura, in un momento in cui pochi spazi culturali stanno timidamente riaprendo e molti altri si interrogano sul proprio futuro. Quest’anno abbiamo deciso di puntare i riflettori sulla crisi che molti dei circoli Arci di Bologna e provincia stanno attraversando. E’ anche una risposta a una grave patologia della politica
di Mattia Santori, 6000 Sardine
Anche quest’anno, insieme a Dynamo e Cucine Popolari, torneremo a invadere pacificamente Piazza Maggiore con 6000 piantine. Lo facciamo perché crediamo nella forza della comunità che si autosalva, e perché la prima edizione è stata talmente bella che non potevamo non riprovarci.
L’evento di quest’anno però arriva in un contesto sociale e politico che poco o nulla ha a che vedere con quello di dodici mesi fa. O meglio, il contesto è a mio avviso molto simile, ma la percezione è in generale molto sconnessa. Questo è dovuto a una grave patologia della politica e dei giornalisti che ne impongono la direzione che prende il nome di frenesia.
Prendiamo ad esempio questi ultimi 18 mesi. Poco più di un anno fa, l’arrivo di Salvini nella nostra regione rappresentava l’apocalisse per molti della nostra comunità, tanto da scatenare reazioni di piazza mai viste nei decenni precedenti. Poi è stata la volta del sistema sanitario, la cui crisi pandemica e la conseguente impreparazione ha scatenato l’indignazione dell’opinione pubblica e la celebrazione dei suoi interpreti: gli operatori sanitari. In seguito, ci si rendeva conto della crisi degli operatori della cultura e si iniziavano a raccogliere fondi e a mobilitare bauli. Poi è stato il turno dei movimenti Black Lives Matter per George Floyd, della questione femminile quando ci si è accorti della disparità sugli effetti della crisi, dei ristoratori che necessitavano di aprire, degli ecologisti interessati al Next Generation EU, delle piazze a supporto del DDL Zan e dell’indignazione per gli attacchi al popolo palestinese. Ogni settimana vi è una nuova urgenza, ogni giorno su Twitter si alternano una decina di topic che dettano l’agenda politica e giornalistica. Gli uffici stampa e i portavoce friggono per stare al passo con un’attualità che muta velocemente.
Poi, però, passa l’urgenza e il problema scorre in seconda, quarta, sesta pagina fino a scomparire nelle nicchie dei salotti online o sulle sparute pagine Facebook delle organizzazioni e dei militanti.
Eppure, guardandosi indietro, non si ravvisa un reale cambiamento né risoluzione di quello che fino a qualche mese prima era il dramma da risolvere e denunciare. Perché a distanza di sedici mesi, non solo la Lega è rimasta primo partito nazionale ma a lei si è aggiunta Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. Perché a distanza di un anno non vi è sul tavolo di nessun Ministro una riforma del sistema sanitario nazionale che preveda maggiori investimenti, prossimità delle cure e standard minimi di efficienza su tutto il territorio nazionale. Perché a distanza di mesi le discriminazioni e le disparità riferite alla razza, al genere e all’orientamento sessuale non sono calate. Perché i diritti alla continuità professionale degli operatori culturali, dei rider, degli istruttori sportivi, degli educatori continuano a non esistere e non essere nemmeno presi in considerazione.
E quel che è peggio è che l’ipocrisia della politica e del sistema mediatico viene assecondata da un’opinione pubblica ormai bulimica, disattenta e incoerente.
A proposito di linearità, in questi giorni abbiamo lanciato la seconda edizione delle 6000piantine, che ricalca esattamente la missione di un anno fa: trasformare la natura in cultura, in un momento in cui pochi spazi culturali stanno timidamente riaprendo e molti altri si interrogano sul proprio futuro. L’anno scorso vivevamo il dramma di non avere un programma culturale estivo. Quest’anno abbiamo deciso di puntare i riflettori sulla crisi che molti dei circoli Arci di Bologna e provincia stanno attraversando. Si tratta di luoghi storici, che nei decenni hanno favorito socialità, aggregazione, servizi, connessione, produzioni artistiche. Spazi di “ricreazione” e di “cultura” che ad oggi, 19 maggio 2021, non possono ancora fare né l’una né l’altra, dal momento che la loro riapertura è stata posticipata al 1° luglio (come le sale Bingo, per intenderci).
Mi rivolgo ai miei concittadini e a chi questa città l’ha vissuta per davvero: provate a chiudere gli occhi e togliere dai vostri anni bolognesi le serate al Millenium o al Cassero, le partite di scacchi alla Paresse, le birrette al Brexit, le iniziative solidali alla Fattoria, gli spettacoli al Mercato Sonato, al Teatro del Navile o al Brecht. Ora riapriteli e rendetevi conto che il prossimo settembre questi luoghi potrebbero scomparire. Al loro posto un paio di ristoranti giapponesi, qualche monolocale e diversi baretti dal cambio di gestione facile.
Ci ritroveremo tra qualche decennio a raccontare ai “giovani” di quanto era figa Bologna quando si poteva unire socialità, politica, cultura e birre a buon mercato. Esattamente come gli anziani di oggi che narrano delle osterie senza interrogarsi del perché siano tutte, o quasi, scomparse.
Io credo sia un dramma al pari di quelli citati in precedenza, ed in qualche modo ad essi collegato. Perché la socialità alimenta l’aggregazione, che porta a riconoscere l’altro e a sua volta genera contaminazione culturale. Per quanto complesso, si tratta di un antidoto vero e duraturo rispetto alle discriminazioni, l’ignoranza, il populismo, la solitudine. L’antidoto non è e non sarà mai una piazza piena, né tanto meno una vittoria elettorale o una resa dei conti interna a un partito. Perché i processi sociali e politici richiedono un impegno quasi quotidiano e necessitano di una costanza e una serietà che nessuna sparata mediatica potrà mai sostituire.
Le piantine sono tornate per mettere ancora una volta alla prova i bolognesi, in particolare chi riempiva le piazze antipopuliste con orgoglio. Ecco, dietro all’acquisto di una o più piante si nasconde un gesto fortemente antipopulista, perché attiva un processo di riscossa dei baluardi fisici della socialità.
Non facciamo mai inviti casuali. Non facciamo mai inviti semplici.
Ma crediamo nei miracoli, specialmente in quelli che si realizzano solo se ci si crede in tanti.