Invitata ad un’assemblea di studenti del Liceo Copernico per discutere della questione israelo-palestinese, sono rimasta ammirata dalla loro attenzione verso le grandi ingiustizie del mondo. Un’esperienza che mi ha fatto amare ancor di più Bologna e la sua “aria di civiltà”
di Luisa Morgantini, presidente Assopace Palestina
Amo Bologna, anche se non tutti i bolognesi. È stata la città dove sono approdata poco prima del 1960, scappando dal mio paese, la Valle dell’Ossola di cui vado orgogliosa, prima repubblica partigiana. Mi stava stretta, così circondata da montagne, volevo conoscere il mondo e praticare come donna una strada di emancipazione e libertà, essere cittadina del mondo.
Bologna “dotta e comunista” – così avevo letto in un articolo sull’Unità – è stata la mia prima città. Avevo quasi vent’anni, trovai lavoro all’Inca e poi come funzionaria del Pci.
Per qualche tempo vissi in una comune. Non quelle dei figli dei fiori, noi avevamo un progetto: la rivoluzione. Eravamo io, Nira (studente indiano), un trentino, un romagnolo, un’americana con il marito, pittore di Ferrara. Studiavamo Karl Marx, io poi volevo dimostrare che si poteva vivere insieme uomini e donne solo come amici.
Poi anche Bologna mi è stata stretta. Tuttavia continuo ad amarla, e ancora di più da quando è diventata la città di mio fratello Roberto, fondatore delle Cucine Popolari. Quando metto piede a Bologna mi sembra di respirare “aria di civiltà”, per questo sarò sempre riconoscente alle 6000 sardine che hanno contribuito a salvarla dal “salvinismo” razzista e populista, che però rimane sempre in agguato.
Ma non è della mia vita privata che voglio scrivere, quanto di un incontro, online per me ed in presenza per gli studenti del liceo scientifico Copernico.
Quando Roberto mi ha inoltrato l’invito del prof. Sergio Lo Giudice, al quale gli e le studenti avevano chiesto di riunirsi in assemblea per approfondire la questione israelo-palestinese, ho risposto sì con entusiasmo, pur non potendo partecipare in presenza, con grande delusione del prof.
Al mio posto Donatella Allegro di Assopace Palestina Bologna, che era stata in Palestina in uno dei “viaggi di conoscenza” che organizziamo da lungo tempo. Ha potuto mostrare foto, raccontare quello che con i propri occhi aveva visto e ascoltato e che anch’io ho visto e ascoltato molte volte, poiché in quella terra vado e torno ormai da più di trent’anni.
La dirigente scolastica aveva chiesto di avere anche una presenza che raccontasse Israele e per questo ho invitato Alessandro, un giovane italo-israeliano che vive a Gerusalemme e fa parte di un gruppo di giovani che si impegnano per la pace e che operano nei territori occupati a fianco dei palestinesi, per difenderli dagli attacchi dei coloni e dei soldati israeliani. Giovani che rappresentano la speranza per chi crede nella giustizia e nella libertà per tutti e tutte.
È abbastanza comune sentir dire che la situazione è complessa, complicata, che quei due popoli si odiano, che la questione è religiosa e che sì, forse Israele viola il diritto internazionale e i diritti umani, ma in fondo è l’unica democrazia del Medio Oriente, mentre i palestinesi sono dei terroristi. Ma i ragazzi e le ragazze del Copernico volevano uscire dagli stereotipi e dalle informazioni distorte o omesse – colpevolmente, non solo a mio parere – dai nostri media. E allora ci è sembrato necessario fare opera di verità, raccontare i fatti, rompere le ragnatele, cercando di riportare la questione alla sua essenza, quella che racconta la storia attraverso la vita quotidiana e che va alle radici del problema.
Quello che è complesso si fa semplice: è la terra e il suo possesso la causa principale. Come ha scritto lo storico israeliano Ilan Pappe – ma i palestinesi lo dicevano da sempre, inascoltati – Israele ha praticato la pulizia etnica da quando ha proclamato il suo stato nel Maggio del 1948. A quel tempo, Israele rase al suolo più di 490 villaggi, e oltre 750.000 palestinesi dovettero lasciare le loro case e diventare profughi nei paesi confinanti o nella parte della Palestina storica, la Cisgiordania e Gaza. E da allora non vi hanno più fatto ritorno.
Quando poi nel 1967, con una guerra preventiva contro i paesi arabi vicini, Israele ha conquistato ed occupato militarmente i territori palestinesi ma anche il Golan siriano e pezzi del Sinai Egiziano, iniziò la costruzione delle colonie (illegali) nei territori occupati. Oggi, sul territorio palestinese che per la Comunità Internazionale dovrebbe essere lo Stato di Palestina ci sono, protetti dall’esercito israeliano, più di 700.000 coloni che sfruttano terra e acqua confiscate ai legittimi proprietari palestinesi.
Il collettivo del Copernico, con l’impegno manifestato in questi anni in difesa dei popoli oppressi come i curdi, la crisi in Cile e tante altre ingiustizie del nostro tempo, rompe lo stereotipo sui giovani italiani che, si dice, sono insensibili alla questioni politiche e sociali. Ho ascoltato Caterina, Giovanni e altri giovani attentissimi e sensibili ma anche preparati, con domande e opinioni non solo pertinenti ma che chiedevano un’assunzione di responsabilità da parte dei singoli, dell’Europa, dell’Onu.
Ho ammirato il loro desiderio di conoscere la situazione quotidiana, di cercare di capire cosa significhi per un giovane palestinese vivere sotto il tallone di ferro dell’occupazione militare israeliana senza mai avere conosciuto un giorno di libertà.
A differenza della maggioranza dei nostri politici, il collettivo del Copernico guarda con interesse e vuole capire il mondo. E come dice il prof. Lo Giudice, che insegna storia e filosofia, “è importante che ascoltino anche voci esterne all’ambito scolastico, portatrici di esperienze e testimonianze anche molto caratterizzate nelle loro posizioni, perché questo li aiuta a coltivare la loro autonomia e la loro capacità di giudizio critico”.
È per cose come queste che ho ragione ad amare ancora Bologna e tanti, seppur non tutti, bolognesi.
Photo credits: Andrew E. Larsen (CC BY-ND 2.0)