«Eran 600 e io uno di quelli», ci dice in questo articolo il direttore del “Centro studi per la ricerca sul coma – Gli Amici di Luca” a proposito degli scatti in bianconero, illuminati da uno zolfanello, esposti fino al 31 luglio nella mostra su questo straordinario fotografo al Museo Civico Archeologico. Il “caldo” racconto di uno di quei 600 istanti “impressionati” dalla luce più tremula e fugace che si possa immaginare e che rende chiaro anche il genio di un grande obiettivo
di Fulvio De Nigris, giornalista e tante altre cose
Nino Migliori ho cominciato a frequentarlo alla fine degli anni Ottanta. Ma la nostra frequentazione non fu legata alla fotografia. Perché Nino Migliori ha avuto e ha una grande personalità culturale che gli consente una capacità di creazione e progettazione che si legava e si lega a eventi da promuovere.
Allora lavoravo all’Assessorato alla Cultura della Provincia di Bologna e lui, con la Publimago di Antonella Minzoni, si rese protagonista assieme a noi funzionari (io con Raffaele Finelli e Marina Cremaschi), a Maurizio Costanzo e personalità di spicco quali il semiologo Omar Calabrese, l’etologo Giorgio Celli e a un assessore che varrebbe la pena di ricordare, Learco Andalò, di una iniziativa per quei tempi antesignana. Si trattava di “Videomachia” (il nome lo inventò proprio Nino Migliori).
Come scrisse Laura Delli Colli su “La Repubblica”, «una vera e propria saga fatta di incontri e scontri sul tema della televisione culturale, un vero e proprio pellegrinaggio di esperti, protagonisti, studiosi di televisione». Così nel giugno del 1990 la piccola cittadina di Castel San Pietro divenne protagonista di giornate televisive estrapolate dalla televisione (come location l’Albergo delle Terme) con un pubblico salotto, condotto da Maurizio Costanzo che interrogava sul tema i massimi esperti: Paolo Fabbri, Giovanni Minoli, Carlo Arturo Quintavalle, Angelo Guglielmi, Corrado Augias, Alberto Abruzzese e tanti altri.
“Videomachia” sembrava una iniziativa destinata a diventare un appuntamento fisso per gli addetti ai lavori: una sorta di osservatorio permanente sulla televisione, soprattutto minore. L’idea lanciata era quella di una grande campagna di ecologia televisiva: una sorta di Tvwf, da proteggere e da salvare. Ma poi in realtà non se ne fece nulla.
Più avanti Nino Migliori seguì all’Ipercoop di Borgo Panigale la presentazione del libro che avevo scritto con mio figlio Luca “100 metodi per catturare Babbo Natale”. Era il periodo delle polaroid che lui trasformava con vari graffiti. Infine fu l’ideatore dei “messaggi per un risveglio” attaccati a palloncini che ogni anno dal 1999 sono l’elemento conclusivo della nostra “Giornata dei risvegli”. “Un palloncino può andare lontano”, diceva. E ne avemmo la conferma quando un anno ci ritornò un messaggio. Ce lo inviava il genitore di un bambino che l’aveva trovato nella Foresta Nera ed esprimeva la sua solidarietà e vicinanza al nascente progetto della Casa dei Risvegli Luca De Nigris. Incredibile solo pensarlo.
Ma di Nino Migliori ho anche utilizzato la sua parola “Diversimili”, diversi ma simili, che in questi anni è diventato un progetto legato alle persone con esiti di coma che noi seguiamo, usando il teatro come mezzo di arteterapia.
Tutto ciò detto, non vedendoci da almeno una ventina d’anni ed essendoci sempre ripromessi di fare una bella rimpatriata, nel giugno del 2019 andai a trovarlo nello studio di Via Elio Bernardi. Parlammo di nuovi progetti per la mia causa (ci spero sempre) e ricordammo le storie passate. A un certo punto mi portò nel retro dello studio, piuttosto buio, prese la macchina fotografica e mi cominciò a parlare della luce, la luce dei fiammiferi. La fedele Antonella Minzoli con il cerino in mano cominciò ad accenderne. Io ero seduto, lei dietro, davanti a me Nino Migliori che scattava. Sentivo il calore in tutta la parte destra della faccia, dietro l’orecchio e le sue esclamazioni di soddisfazione, entusiasmo, contentezza: «Ma guarda», «che bello», «Sei proprio tu». Io cercavo di stare un po’ lontano dal cerino. Un po’ di timore che mi bruciassi l’avevo. Ma Antonella mi tirava indietro. “La luce, Antonella, la luce sui capelli, sulla barba», diceva Nino Migliori.
Mi è rimasto il calore, non solo quello affettivo ricambiato, ma fisico che ancora sento qui tra la guancia e l’orecchio all’altezza di quei pochi capelli rimasti. Avevo pensato di fargli causa. Magari di chiedergli anche il danno biologico. Ma poi ha prevalso l’amicizia.

Bravo Fulvio!