Non vorrei essere nei panni di quei cittadini che due anni fa sognavano un’Emilia-Romagna liberata dal Pd e che oggi si ritrovano un’arena in cui il centrodestra non è pervenuto. Cangini sarebbe un ottimo concorrente, ma la sua coalizione è ostaggio dei veti incrociati di Lega e Fratelli d’Italia
di Mattia Santori, 6000 sardine
In quest’epoca di politica fluida, in cui gli elettori di centrodestra votano alle primarie del centrosinistra, in cui Lega e Radicali raccolgono firme per lo stesso referendum, e in cui Italia Viva blocca una legge contro l’omotransfobia, mi prendo la libertà di invadere pacificamente quel che resta del campo del centrodestra bolognese, se non altro per dare qualche consiglio da spettatore esterno ed interessato.
La faccio breve: non c’è nessun motivo al mondo per cui Salvini dovrebbe influire o addirittura arrogarsi il diritto di decidere il candidato sindaco nel capoluogo emiliano.
O meglio, di motivi irrazionali ce ne sono tanti: l’ego di un ex-capitano che non vuole mollare il timone, gli accordi sottobanco da rispettare per garantire un equilibrio elettorale, la presunta gerarchia dei sondaggi, e la lista potrebbe essere molto più lunga. Ma, per quanto possa capire che la predisposizione alla sconfitta sia una patologia difficile da curare, credo troppo nella competizione per lasciare che i nostri avversarsi si suicidino prima ancora di aver iniziato a giocare.
Del resto, basterebbe osservare un po’ di dati per trarre qualche spunto. Nelle ultime elezioni il buon Matteo ci ha provato, gli va dato atto. Ha investito tanto in termini di coraggio, soldi e tempo, spesso portando a spasso gli avversari. Ma purtroppo il tabellino finale dice 2 a 0 per gli altri. E se nel caso delle amministrative bolognesi del 2016 il 45% (22% al primo turno) di Lucia Borgonzoni al ballottaggio può annoverarsi tra le mezze vittorie, la stessa cosa non si può certo dire del risultato delle ultime regionali, in cui la Borgonzoni ha portato a casa un risultato ben al di sotto delle aspettative in quel che doveva essere il punto di non ritorno per la politica italiana.
Salvini ha un ruolo in queste sconfitte? Credo che chiunque sano di mente e scevro da interessi personali risponderebbe serenamente: sì. Su Bologna aveva puntato parecchio, dall’apertura della campagna elettorale fino alla chiusura simbolica con la citofonata del Pilastro. A fine elezioni, tuttavia, i dati ci dicono che i consensi della Lega nel capoluogo emiliano si sono fermati al 18% mentre i famigerati nemici del Pd su cui aveva impostato la campagna elettorale sono addirittura cresciuti sfiorando il 40%. Insomma, bene ma non benissimo.
La liberazione di Bologna e dell’Emilia-Romagna, quindi, non solo non è avvenuta, ma si è trasformata in un boomerang in termini di consensi su scala regionale e nazionale, con la Lega oggi costretta a guardarsi le spalle per scongiurare il sorpasso ormai imminente di Fratelli d’Italia. L’Emilia-Romagna è stata una drammatica campagna di Russia per il partito federalista, sicuramente audace ma tristemente fallimentare. Se la Lega fosse un partito plurale e democratico potremmo spalmare le colpe tra i rappresentanti della sua classe dirigente, ma dal momento che il nome e il volto di Salvini sono stati così preponderanti non possiamo che attribuirgli gli errori di cui è responsabile.
Oggi, a distanza di due anni, evidentemente le ferite del 2020 non hanno portato consiglio al leader leghista e ai suoi consiglieri, che hanno già commesso due errori fatali. Il primo è la personalizzazione (di nuovo..) del voto sulla figura di Salvini, con i manifesti che hanno invaso Bologna e che sono durati il tempo di una nottata prima di essere strappati, scarabocchiati, ridicolizzati. Piaccia o no, Salvini a Bologna non è mai stato digerito, e continuare a vendere i suoi santini elettorali non si tradurrà in voti per un presunto candidato sindaco che ad oggi non esiste. Il secondo errore riguarda questa affannata e patetica ricerca di un candidato civico, mitologica figura cercata da Salvini per porre un argine alla crisi del brand del suo e di altri partiti. Tutto molto comprensibile, anche perché la storia della Borgonzoni usata come tappabuchi in 4 elezioni negli ultimi 5 anni la dice lunga sulla creazione di nuova classe dirigente da parte della Lega, ma si tratta di una strategia che non tiene conto della realtà.
I numeri, infatti, dimostrano che a Bologna i partiti reggono. Nelle amministrative del 2016 la somma dei voti portati a casa dalle liste partitiche ha superato abbondantemente il 70%. Con le civiche, che ad eccezione della lista di Manes Bernardini (10%) e quella di Coalizione Civica (7%) hanno avuto un ruolo molto marginale. Tra l’altro, sia nel 2016 che nel 2020, i candidati che si sono contesi la vittoria finale erano (anche se a volte se ne vergognavano) pura espressione dei partiti di riferimento: Merola, Borgonzoni, Bonaccini. Perché mai quindi un Mugavero o un Battistini sarebbero da preferire a un Cangini a priori?
Al contrario, Cangini sarebbe un ottimo candidato per il centrodestra, perché oltre a vantare uno spessore politico tutt’altro che mediocre, ha una storia da moderato capace di dialogare con diverse aree politiche progressiste. Cangini è stato tra i pochi, ad esempio, a fare campagna attiva per il NO al referendum costituzionale dello scorso autunno, mostrando onestà intellettuale e libertà di pensiero. Caratteristiche che per Salvini e Meloni, abituati a preferire i burattini alle persone, probabilmente non andranno bene. Caratteristiche che si sommano al problema della casacca, che vede Cangini in quota Forza Italia.
Proprio la Meloni, intanto, passa per Bologna per presentare il suo libro ma si guarda bene dall’indicare il candidato ideale. Evidentemente contano di più le vendite della sua biografia e la ricerca di consenso nazionale che il futuro di Bologna o il destino dei tre cavalieri in attesa di capire chi di loro dovrà sfidare il drago. Pressata dai giornalisti che le hanno ricordato che il suo mestiere va oltre il vendere libri, la Meloni è riuscita a promettere che “questa è la settimana buona”. Probabilmente non l’hanno informata che ormai siamo a Ferragosto e la storia della settimana buona va avanti da febbraio.
Nel frattempo, mentre di là si gioca a nascondino, Matteo Lepore apre la Fabbrica del programma e unisce esperienze, idee e persone per quello che di fatto è già l’inizio del suo mandato da sindaco. La si può pensare come si vuole, ma oggi, perlomeno a Bologna, destra e sinistra sono due mondi distanti anni luce. Non vorrei essere nei panni di quei cittadini che due anni fa sognavano un’Emilia-Romagna liberata dal Pd e che oggi si ritrovano un’arena in cui il centrodestra non è pervenuto. Non c’è peggior promessa di quella che non riesci a mantenere con i tuoi stessi elettori. Borgonzoni sta a Roma, Meloni vende libri, Salvini è su tutti i manifesti ma quando passa da Bologna ormai non se lo fuma nessuno.
Sia chiaro, non provo alcuna tristezza nel sapere che i partiti di Meloni, Berlusconi e Salvini non prenderanno le redini della città in cui vivo, lavoro, pratico sport e faccio volontariato. Ma, come detto, credo fermamente che un po’ di sana competizione non guasti mai, specialmente in politica. Non posso quindi che auspicare che quel che resta della dirigenza liberal rinsavisca e permetta a chicchessia di esprimersi in un confronto elettorale dinamico, innovativo, serio, produttivo. Sperando che quel “chicchessia” risponda al nome di Andrea Cangini.