Il dilemma di Erone

Se non ci adatteremo velocemente a questa nuova rivoluzione tecnologica, sviluppando i dovuti anticorpi, ne verremo tutti irrimediabilmente travolti. Perché non stiamo entrando nella civiltà dell’algoritmo. Ci siamo già dentro

di Pier Francesco Di Biase, caporedattore cB


Sono giorni di rabbia per la tragica morte di Laila El Harim, operaia uccisa da una fustellatrice nello stabilimento Bombonette di Camposanto in provincia di Modena. L’ennesima “morte bianca” fa il paio con la vicenda Logista e il licenziamento collettivo via whatsapp per circa un centinaio di operai.

Tuttavia, se vogliamo fare in modo che la sacrosanta indignazione pubblica scaturita dalle ennesime ingiustizie non resti soltanto un fugace momento di consapevolezza, una qualche azione di indirizzo nel mondo del lavoro bisognerà prenderla in considerazione.

Secondo i rapporti Inail, nel 2020 i morti sul lavoro in Italia sono stati 1.538. Nel primo semestre 2021 sono già 538, di cui 35 in Emilia-Romagna. Numeri impressionanti, altissimi per un paese che si vorrebbe sviluppato, eppure scontati di tutte quelle morti tra i lavoratori irregolari che non vengono denunciate dai loro sfruttatori.

Naturalmente non ci sono soltanto i morti. A Bologna e nella Città Metropolitana, nel solo primo trimestre 2021, si contavano circa 3.800 infortuni sul posto di lavoro – 1.500 donne e 2.300 uomini – e almeno 600 infortuni hanno coinvolto lavoratori di origine straniera e non comunitaria, più della metà donne. Se a questo aggiungiamo la proliferazione delle crisi aziendali, con conseguenti licenziamenti, il quadro risulta quello di una vera e propria macelleria sociale.

Dunque, a discapito di una certa retorica trionfalistica e sviluppista, il mondo del lavoro continua ad avere gravi carenze sul piano della qualità occupazionale e della tutela dei lavoratori. Salari inferiori alla media Ue, inefficienza, precarizzazione e moltiplicazione delle forme contrattuali, insicurezza dei luoghi di lavoro, caporalato: sono triste cronaca quotidiana, dalle campagne del foggiano fino ai distretti industriali del Nordest e persino nel settore pubblico.

E mentre i sindacati si contendono quel poco di rappresentanza che gli è rimasta sotto i tetti dei capannoni e i rider sono diventati oggetto mainstream per dottorati in sociologia, nelle fabbriche si continua a perdere il lavoro, a infortunarsi, talvolta a morire. E le uniche misure vere di contrasto alla povertà e allo sfruttamento, pur con tutti i loro limiti, sono il reddito di cittadinanza e il decreto dignità voluti dal Movimento 5 Stelle di Conte e di Di Maio, quelli che molti sbeffeggiano ancora con parole come il parvenu e il “bibitaro”.

Polemica particolarmente odiosa quest’ultima, che non manca di suscitare fin troppe ironie anche a sinistra. Ai duri di comprendonio, consiglio di leggere la recente analisi sugli effetti reali del Rdc, svolta da Domenico De Masi per il Fatto Quotidiano. Si evince che abbiamo sì bisogno di rivedere al più presto il Rdc, non per abolirlo come vorrebbero i renziani ma per renderlo più efficace e più accessibile.

Qualcuno lo chiama sussidistan, a me sembra invece una questione di civiltà. Allargare le maglie del welfare non incide soltanto sui diritti dei lavoratori, ma può essere un viatico per l’efficientamento e la modernizzazione del nostro sistema produttivo: un lavoratore che non ha alternative o tutele come il Rdc o la Cig è infatti un lavoratore ricattabile, meno incline a sindacalizzarsi e a denunciare le inadeguatezze dell’azienda e del sistema. Ma progresso e diritti devono camminare insieme.

Come sempre alla politica spetta il compito di accendere la miccia. Stiamo vivendo cambiamenti epocali ma per affrontarli abbiamo bisogno degli strumenti adatti: una riforma complessiva del welfare e degli ammortizzatori sociali, nuove leggi sulla cittadinanza e sulla rappresentanza, un piano nazionale di educazione permanente e lotta all’analfabetismo digitale, un nuovo statuto universale dei lavoratori che comprenda finalmente anche i lavoratori autonomi e i liberi professionisti.

Certo, possiamo sempre invocare il concorsone che ci darà il posto (semi)fisso in qualche ente (semi)inutile della Pa. O continuare a inveire contro multinazionali e piattaforme digitali denunciando le storture del sistema di appalti e subappalti: l’applausometro nei convegni d’accademia si sfascia e si aiuta qualche giornale a vendere due o tre copie in più in edicola.

È il dilemma di Erone, se sia meglio una civiltà basata sullo sfruttamento del capitale umano o una tecnologicamente avanzata in cui l’umanità è progressivamente superflua. Per indole, mi collocherei nel mezzo: uno sviluppo tecnologico che serva l’umanità in luogo del profitto, senza prospettive distopiche o improbabili amarcord.

Resta il fatto che se non ci adatteremo velocemente a questa nuova rivoluzione, sviluppando i dovuti anticorpi, ne verremo tutti irrimediabilmente travolti. Perché, purtroppo o per fortuna, non stiamo entrando nella civiltà dell’algoritmo. Ci siamo già dentro.


2 pensieri riguardo “Il dilemma di Erone

  1. La Procura di Modena farà il suo lavoro serio ed imparziale. Questo è un settore del tutto autonomo che va rispettato. Ma Laila, la sua bambina orfana, il suo compagno, non vanno dimenticati.

    Troppi sono i morti sul lavoro. Non di rado giovani donne che avevano saputo affrontare il futuro con fiducia,anche con slancio. Laila e le altre. E gli altri, in Emilia Romagna e in tante parti d’Italia. Non possiamo dimenticare.

    Fu scritto: la morte si sconta vivendo. Digressione esistenziale ma inopinatamente profetica. In specie quando si tratta gì giovani e di giovani donne. Credo che Cantiere Bologna per la sua sensibilità non possa tacere.

    Siamo di fronte al caso, inaspettato e crudele? Incombe la sete inesauribile di profitto? E’ il manifestarsi drammatico degli aspetti lancinanti di nuove inumane forme di diseguaglianza sociale? Questi interrogativi gravano in questo agosto che non può essere spensierato.

    Mi auguro che quanti ambiscono a ruoli di rappresentaza i prossimi 3/4 ottobre ci pensino anche nella confezione dei programmi elettorali. Siamo interpellati da vicende ingiuste e drammatiche. La figlia di Laila ha cinque anni, il suo compagno ne ha qualcuno di più. Sono gli avamposti di tragedie che hanno segnato questo 2021 in modo forte e diffuso. Non possiamo, nessuno può dimenticalo.

  2. GRAZIE, UN OTTIMO ARTICOLO.
    MANCA LA PAROLA “CAPITALISMO”; PURTROPPO NON E’ PIU’ ABITUALE ESPLICITARE L’ERA IN CUI SIAMO E LE RAGIONI STRUTTURALI DI TANTI FATTI CHE APPAIONO QUASI INSPIEGABILI SENZA ANDARE ALLE LORO ORIGINI.
    A 14 ANNI HO PERSO UNA FALANGE SOTTO UNA PRESSA A PEDALE SENZA SICUREZZA; IL MIO PADRONE ARTIGIANO NON ERA CATTIVO, DOVEVA RIDURRE I COSTI PER VINCERE LA CONCORRENZA: QUESTA ERA LA CAUSA.

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