In una Bologna rovente e semideserta come da tradizione, partiti e movimenti stanno chiudendo le liste da presentare alle prossime amministrative. Una grande competizione tra nomi che in città rappresentano mondi, gruppi, temi. Sarà una sfida tostissima
di Cristian Tracà, docente, consigliere di quartiere
Bolle, la pentola bolle, ma qui non si parla del metro dell’esametro o di qualche balzano tetrametro trocaico. Non vorremmo essere nei panni di chi quelle liste le dovrà chiudere veramente nella campagna elettorale, probabilmente la più short e più hot della storia amministrativa recente della città (sono giovane e vengo dall’altra parte dello Stivale, se sbaglio mi corriggerete con uno scappellotto benevolo).
Una grande competizione tra nomi che in città rappresentano mondi, gruppi, temi. Sarà una sfida tostissima e tra i denti si sussurrano sibilline considerazioni sul bivio che si prospetta. Novelli essere o non essere nel Pd (con un odi et amo che Catullo scansate proprio), rovelli amletici che più o meno si risolvono nel mero calcolo di quanti seggi potranno scattare per ciascuno dei partiti della grande coalizione radunata da Matteo Lepore attorno al mood progressista.
È ancora fresco il ricordo delle ultime amministrative e regionali: come spesso accade, al di fuori del Partitone si eleggono pochi nomi, quasi sempre solo il capolista blasonato (con pochissime eccezioni e col terribile effetto riempilista dietro l’angolo). In questa tornata potrebbe succedere diversamente e infatti non si contano più i rumours che parlano di un Pd apertissimo alla società civile per mantenere forte il timone sull’attività consiliare.
Affascinantissima poi la sfida tra le ali e i fluidificanti. Avranno la meglio coloro che si identificano più in una città materna e gentilmente rivoluzionaria o prevarranno i coraggiosi che sognano una maggiore discontinuità e il Sol dell’Avvenire?
Tra i due litiganti poi alla fine gode davvero il terzo? Da quello che traspare molte liste potrebbero differenziarsi davvero pochissimo e molti profili sovrapponibili per rappresentatività potrebbero affastellarsi, con effetti imprevedibili, sulle stesse tipologie di elettorato. I nomi di punta accetteranno senza veti la partecipazione di nomi nuovi (che riaprono i giochi) in nome del bene comune?
Il Pd sarà più simile ai mondi paralleli che in questa tornata lo sostengono o dovrà marcare una differenza irrigidendo i confini tra militanza e simpatia? Quelli che c’erano a prendersi gli insulti nella fase più dura rivendicheranno probabilmente la fatica, mostreranno la saracinesca del loro circolo, che in alcune parti della città è una soglia parlante. Peserà più la geografia della politica o le storie personali?
Il Partito democratico cinque anni fa ha riunito molte anime nella città, il che ha portato complessità non indifferenti ma anche voti. Tanti consiglieri del partito di governo si sono contraddistinti nel tempo per una linea non sempre ortodossa, più movimentista o più conservativa, in base alle circostanze: spesso questo conflitto interno strisciante ha arricchito il dibattito migliorando la qualità della politica amministrativa.
Altrettanto spesso si è fatto davvero fatica ad etichettare come grigi esponenti del Partitone che votano qualsiasi cosa i Consiglieri più attivi e dirompenti nella comunicazione: la contrapposizione con i mondi civici è stata molto sfumata con indubbi effetti di ricucitura, tanto che il fronte dell’opposizione oggi è molto più sguarnito che nel 2016.
Se il Pd non avesse avuto al suo interno una parte di lotta, accontentandosi della frangia di solo governo, oggi sarebbe stato in grado di tentare l’esperimento della grande famiglia progressista?
Che poi alcuni distinguo siano stati etichettati come frondisti e giacobini, mentre altri come portatori sani del buon senso dei/delle buon* padri/madri di famiglia è un’altra storia. Così è (se vi pare), a ciascuno il suo storytelling.
Se questa abbondanza riuscirà a tradursi in un grande senso di vicinanza e rappresentatività per i cittadini, questo schema sarà stato lungimirante e Bologna potrà diventare laboratorio della frontiera #giallorossoecologista.
Un unico dubbio rimane sullo sfondo: le modalità e le tempistiche con cui saranno valutate le attività politiche degli eletti e delle elette. Per non dare ragione a quella frase tragicamente nota dell’ex ministro Poletti che, per far rete, consigliava il calcetto più che il curriculum, bisognerebbe che prima o poi con trasparenza si trovasse un metodo per valutare le capacità di relazione, di problem solving, di prospettiva di chi svolge un mandato politico o amministrativo.
Al momento in ballo ci sono sia i curricula che la partita di rete: a chi ha la responsabilità di guidare e migliorare la politica tocca valutare le competenze senza bisogno di ricorrere a titoli e scarpini.
bravo Tracà, giovane ma esperto di strategie politico/amministrative, una cosa ti sei dimenticato di mettere in risalto: a sinistra c’è un uomo forte (Matteo Lepore) che deciderà, sentiti gli alleati, chi e come mettere in lista, il che è una garanzia di scelte oculate e forti, a destra invece ci sono mille anime ognuna delle quali vuole primeggiare con il rischio concreto di disorientare l’elettorato già abbastanza dubbioso per la scelta di un candidato sindaco (il Carneade Fabio Battistini) che non ha e non avrà alcuna voce in capitolo nella scelta dei candidati da mettere in lista. Come ho detto più volte un candidato sindaco ed i capilista non si cavano dal cilindro all’ultimo tuffo ma devono essere frutto di ragionamento cosa che il centro destra non ha mai voluto o saputo capire.
Insomma, in estrema sintesi, sei incazzato nero, io l’ho capita così, Cristian…
Dimenticavo una piccola, e benevolissima, critica a Cantiere. Già l’articolo di Cristian è (volutamente) poco chiaro, e allora oltre che “docente”, si poteva aggiungere l’appartenenza politica, visto che è un personaggio pubblico. Così si sarebbe capito di più (o forse di meno)