Per UniBo la storia non è solo materia da storici

Parte il 1° ottobre un corso riservato agli studenti delle aree scientifiche e tecnologiche, in cui non sono previsti insegnamenti che raccontano il mondo da cui proveniamo. La scelta è dovuta alla convinzione che invece la storia è e deve essere un “bene comune”, la base di un principio di uguaglianza e di democrazia, di un sapere critico che rifiuta il conformismo e vive nel dialogo. Chi insegna la materia ha le proprie idee ma deve sottoporle alle prove dei documenti e del dibattito

di Fulvio Cammarano, storico


Il 1° ottobre l’Università di Bologna inaugura un corso di storia riservato agli studenti delle aree scientifiche e tecnologiche che non hanno nei loro curricula insegnamenti di storia generale.

Si tratta di un evento di grande rilievo simbolico che fa seguito al dibattito con cui, due anni fa, lo storico Andrea Giardina, la senatrice Liliana Segre e lo scrittore Andrea Camilleri avevano voluto ribadire a una comunità nazionale sempre più distratta e “sdraiata” su un presente in fuga dalla complessità, che la storia è e deve essere “un bene comune. La sua conoscenza è un principio di democrazia e di uguaglianza tra i cittadini. È un sapere critico non uniforme, non omogeneo, che rifiuta il conformismo e vive nel dialogo. Lo storico ha le proprie idee politiche ma deve sottoporle alle prove dei documenti e del dibattito, confrontandole con le idee altrui e impegnandosi nella loro diffusione”.

Le dodici lezioni, in questa che ci si augura possa essere la prima edizione di un progetto di lunga durata, saranno tenute da storici medievisti, modernisti e contemporaneisti dell’Ateneo bolognese, sperando che nelle prossime edizioni venga ampliata l’offerta.

Quest’anno il corso verterà sul grande tema “Stati, Imperi, Nazioni”, che tuttavia rappresenta soprattutto l’occasione per una riflessione sul metodo e sul ruolo dell’indagine storica. Il corso infatti intende ribadire che la storia, accanto al suo specifico profilo disciplinare e accademico, si caratterizza come un vero e proprio sapere civico.

Per questo appare coraggioso e lungimirante il tentativo dell’Alma Mater di offrire un corso di storia non come disciplina tra le altre, ma come insostituibile strumento di effettiva educazione civica che oggi va interpretata anche come educazione alla gestione della marea montante di informazioni approssimative e deformate che sfocia ogni giorno in una infosfera non di rado tossica di cui tutti noi siamo allo stesso tempo vittime e promotori.

Non è un caso che, nonostante le apparenze del successo in alcuni ambiti della divulgazione, la storia sia sotto attacco. Si è diffusa in tutti i campi della vita pubblica e privata la pratica del risparmio cognitivo che premia la fuga dalla complessità, facilitando modalità apodittiche di comunicazione. E con la presentificazione della realtà ha finito per imporsi l’immagine della storia come disciplina “antiquaria”, ritenuta non funzionale alla decodificazione del presente e pertanto sacrificabile sull’altare dell’utilità pratica dei saperi “professionalizzanti”. 

Si tratta di una rappresentazione falsa perché la storia è sempre stata connessa al tempo presente. “L’incomprensione del presente – scriveva già negli anni ’40 il grande storico Marc Bloch – nasce fatalmente dall’ignoranza del passato. Forse però non è meno vano affaticarsi a comprendere il passato, ove nulla si sappia del presente”. Per questo la conoscenza della storia, disciplina del contesto, e del suo metodo debbono far sempre parte di ogni progetto umano, dalle campagne per la piantumazione degli alberi alla definizione delle scelte in ambito energetico, dalle relazioni internazionali alle strategie di conquista dello spazio, dall’urbanizzazione all’organizzazione bio-medica. La stessa climatologia non può fare a meno della storia per comprendere la dinamica del cambiamento climatico.

Nello specifico la storia oggi, anche fuori dalle aule scolastiche, andrebbe considerata soprattutto come un percorso critico teso all’accertamento dei fatti attraverso fonti verificabili. Ma se descrivere gli eventi, accertandone la veridicità, rimane un compito ineludibile per gli storici (“non si ha il diritto di presentare un’affermazione se non a condizione che possa essere verificata”), va anche detto che non possono e non debbono nascondersi le complessità del procedimento del metodo storiografico. 

Le prospettive aperte oggi dal calcolo quantistico sembrano quasi ricalcare l’articolato multiverso dell’indagine storica che, proprio come i computer quantistici, deve tener conto della sovrapposizione di multiple condizioni possibili, dei collegamenti nei comportamenti delle “individualità” (particelle, per la fisica) prese in esame, delle interferenze tra lo studioso e l’oggetto studiato.

Solo il corpo a corpo con le fonti – che avviene sempre all’interno di un preciso contesto sociale e culturale – e un verificabile processo di ricerca, ricostruzione e narrazione, saranno in grado di trasformare l’incontro tra l’umana parzialità dello studioso e il prisma caleidoscopico delle fonti, in storia a tutti gli effetti.


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