La città delle produzioni avanzate

La sinergia fra Università, centri di ricerca e imprese è fondamentale. La città di Bologna e l’Università di Bologna – in virtù della loro storia e di quello che già oggi rappresentano come eccellenze in campo istituzionale e educativo – devono farsi trovare pronte, iniziando sin da ora a pensare, in collaborazione con le imprese, all’ambito tecnologico da sviluppare e ai potenziali partner da coinvolgere lungo la Via Emilia, a cominciare dagli altri Atenei della regione

di Franco Mosconi, economista


In Emilia-Romagna la tradizione manifatturiera non s’è perduta. Anzi, al contrario, essa ha saputo incamminarsi lungo nuovi e, per certi versi, inesplorati sentieri, che l’hanno portata, da un lato, a raggiungere importanti traguardi e, dall’altro, a porre le basi di un viaggio che prosegue.

Come spiegare altrimenti due primati nazionali dell’Emilia-Romagna, che negli ultimi anni hanno attirato una crescente attenzione da parte di tutte le élite del Paese? Quando, oltre dieci anni or sono, avviai all’Università di Parma il progetto di ricerca sulla “Metamorfosi del Modello emiliano”, il discorso pubblico su piccola e media impresa e distretti era ancora largamente incentrato su una presunta leadership del Nord-Est, inteso in senso stretto (Triveneto). Molte cose, da allora a oggi, sono cambiate e torniamo così ai due primati dell’Emilia-Romagna: il riferimento va al record nelle esportazioni pro-capite (oltre 15.000 euro), e al primo posto fra le italiane nel Regional Innovation Scoreboard 2021 della Commissione europea (76esima sulle oltre 240 regioni europee censite).

Il ruolo di Bologna nell’affermazione del “Modello emiliano”

Nel raggiungimento di tutt’e due i primati, il ruolo di Bologna si rivela cruciale. Solo per citare alcune evidenze, si pensi che nell’export, con più di 15 miliardi di euro (2020), è saldamente la prima provincia in regione (Modena è la seconda con oltre 12 miliardi). E ancora: nell’innovazione, è sede della più importante Università della regione e fra le primissime del Paese, l’Alma Mater Studiorum; è terreno d’elezione di uno dei distretti industriali (le macchine per imballaggio) che vantano la maggiore intensità brevettuale; è il luogo che le autorità comunitarie, nazionali e regionali hanno scelto per la creazione di una Data Valley internazionale imperniata sul Tecnopolo.

Insomma, il caso bolognese e, più in generale, emiliano-romagnolo rappresenta un eccellente esempio per pensare all’industria manifatturiera non già come a un qualcosa di irrimediabilmente statico (o maturo o tradizionale), bensì come a un’attività incessantemente in trasformazione (è qui che opera al massimo grado la “distruzione creatrice” di schumpeteriana memoria).

I tempi che stiamo vivendo, con la faticosa uscita da quasi due anni di pandemia e la duplice transizione (ecologica e digitale) in pieno svolgimento, rendono ulteriori miglioramenti sì possibili, ma tutt’altro che banali da raggiungere. Due di questi appaiono particolarmente meritevoli di essere perseguiti nel caso di Bologna vista nella sua duplice dimensione territoriale (comune e città metropolitana):

  • prendersi cura dell’industria bolognese;
  • candidarsi a “leader territoriale d’innovazione”

secondo le disposizioni del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr). Dedichiamo a entrambi questi obiettivi un breve approfondimento.

La nuova politica industriale e gli “investimenti in conoscenza”

Nei suoi anni eroici, l’economia emiliano-romagnola ha rappresentato – per dirla con Romano Prodi (1977) – “un modello di industrializzazione su larga pluralità di protagonisti”. Lungo la stessa vena, Vera Zamagni (1997) ha parlato di una “vocazione industriale diffusa”. Questa caratteristica diffusiva ha contribuito non solo a far crescere la struttura produttiva della regione, ma anche a diffondere il benessere fra larghi strati della popolazione grazie all’alto numero di imprenditori, artigiani e lavoratori alle loro dipendenze.

Strada facendo, il modello ha reagito alle mutate condizioni esogene (globalizzazione, moneta unica europea, rivoluzione delle Ict e Industria 4.0) sia mediante un consolidamento nelle dimensioni d’impresa, sia attraverso un miglioramento qualitativo e/o del contenuto tecnologico delle produzioni.

Sotto tutti questi profili, il distretto bolognese delle macchine per imballaggio – l’ormai giustamente famosa Packaging Valley – è un caso da manuale. La storia non finisce qui, giacché in un altro settore assai significativo per l’economia bolognese – l’Automotive – sono arrivati significativi investimenti diretti esteri (Ide). Gli esempi potrebbero poi proseguire in direzione di altri settori manifatturieri (alimentare, chimico-farmaceutico, ecc.) dove la struttura industriale è cambiata, e non di poco, vuoi per strategie di crescita interna delle imprese (nuovi investimenti), vuoi per operazioni di crescita esterna (fusioni e acquisizioni).

Tutti gli esempi menzionati convergono verso un’unica direzione: le imprese sono corpi vivi che, quando ben gestite, sanno reagire con tempestività e lungimiranza alle mutate condizioni di mercato. Questo, si badi bene, non significa che non vi sia lo spazio per una moderna e intelligente politica industriale: una politica che – in primis – deve essere finalizzata, oggi più di ieri, agli “investimenti in conoscenza” (si pensi al capitale umano e alle spese in R&S).

Al riguardo, il rafforzamento della rete di Istituti Tecnici Superiori (Its) appare come una priorità. Nel fare ciò, la città di Bologna – in collaborazione con l’Ente Regione – potrà utilmente avvalersi della previsione formulata dal Pnrr che nella “Riforma del sistema Its” prende a esempio proprio il “modello Emilia-Romagna dove collaborano scuole, università e imprese” (Riforma 1.2 all’interno della Missione 4, “Istruzione e Ricerca”, prima componente “Potenziamento dell’offerta di istruzione”).

Vi è poi un secondo compito che può oggi essere assegnato a una politica industriale autenticamente nuova: il supporto alle nuove traiettorie tecnologiche; ossia, a quelle che in gergo vengono chiamate tecnologie abilitanti. Questo ci conduce al secondo obiettivo.

Gli “ecosistemi dell’innovazione” e i “leader territoriali di R&S”: la sfida del PNRR

Nel Pnrr, sempre la Missione 4 (“Istruzione e Ricerca”), in questo caso nella sua seconda componente (“Dalla ricerca all’impresa”), prevede l’Investimento 1.5. Citiamo testualmente: “Creazione e rafforzamento di ecosistemi dell’innovazione, costruzione di leader territoriali di R&S”. In pratica, nasceranno entro il 2026 – prosegue il Piano – “12 campioni territoriali di R&S (esistenti o nuovi) che verranno selezionati sulla base di apposite procedure competitive”.

La sinergia fra Università, centri di ricerca e imprese sarà fra gli elementi richiesti. La città di Bologna e l’Università di Bologna – in virtù della loro storia e di quello che già oggi rappresentano come eccellenze in campo istituzionale e educativo – devono farsi trovare pronte per questa sfida, iniziando sin da ora a pensare, in collaborazione con le imprese, all’ambito tecnologico da sviluppare e ai potenziali partner da coinvolgere lungo la Via Emilia, a cominciare dagli altri Atenei della regione.

Sostiene Mario Draghi

Ha affermato il presidente del Consiglio, Mario Draghi, nella sua visita in Emilia-Romagna del 1° giugno scorso, la prima da quando siede a Palazzo Chigi: “In realtà non vi siete mai fermati, ma ora si comincia a vedere anche una visione del mondo che avete” (www.governo.it).

Gli obiettivi qui evocati sono due dei tanti che possono essere messi sul tavolo quando si fa parte dei primi della classe: si gioca, per così dire, la Champions League della manifattura.

Sono obiettivi sistemici, che richiedono una coralità di sforzi: richiedono, cioè, quello spirito comunitario che, qui dalle nostre parti, nei momenti migliori della nostra storia si è sempre accompagnato allo spirito imprenditoriale.

Sarebbe paradossale, crediamo, che la regione italiana col punteggio più alto nell’Innovation Index della Commissione europea, che la colloca fra gli “Innovatori forti”, si perdesse per strada. E con essa la città-capoluogo.


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