Cristina Ceretti: perdersi e ritrovarsi, da Mirandola a Bologna

Arrivata sotto le Due Torri nel 2012 dopo aver lasciato la sua terra devastata dal terremoto e tornata alla politica attiva dopo l’incontro con Lepore e l’esperienza della Nuova Fabbrica del Programma, la neo consigliera comunale di formazione cattolico-democratica avrà le deleghe a famiglia, disabilità e sussidiarietà circolare

di Barbara Beghelli, giornalista


Tra le new entry in Consiglio Comunale, Cristina Ceretti è forse la meno conosciuta, eppure la sua è una storia densa di emozioni.

Mirandolese, classe 1973, laureata in Filosofia e con un dottorato di ricerca che le ha dato l’opportunità di approfondire i temi del dialogo interreligioso, è giornalista pubblicista: per anni ha collaborato con alcuni quotidiani di Reggio Emilia, poi nel 2006 è arrivata in Regione, dove ha ricoperto l’incarico di capo ufficio stampa del Gruppo Pd. Sposata, ha due figli, Anita ed Emanuele, 11 e 6 anni. 

È approdata in politica attraverso un percorso di formazione legato al cattolicesimo democratico, sissignore: e guai a scordarselo, ci tiene moltissimo. È stata consigliera comunale della sua cittadina e assessora comunale alla cultura, pubblica istruzione, pari opportunità, poi assessora provinciale a Modena al lavoro, istruzione, formazione professionale, giovani.

Tuttora dipendente della Regione (“al mio lavoro ci tengo”), è stata la prima segretaria comunale del Pd a Mirandola e componente dell’Assemblea nazionale; oggi siede in Segreteria provinciale con la delega a cultura e partecipazione. Socia fondatrice dell’associazione culturale Orto-Giardino “Peppino Impastato”, è coordinatrice della Nuova Fabbrica del Programma di Matteo Lepore e presidente dell’associazione ‘Una città con Te’, che con le sue mille proposte si appresta a rinnovare le iscrizioni.

Cristina giunse sotto le Due Torri nel 2012 perché decise di lasciare la sua terra, quella parte di Bassa modenese che da quel momento, dal terremoto, divenne il distretto sismico della Pianura Padana emiliana. Ma un pezzo di cuore è rimasto là.

Che ricordi ha di quel periodo?

Beh, ecco… È stato tutto molto difficile, tante le cose distrutte, le vittime. Abbiamo avuto danni a quasi tutti gli edifici, dal Castello di Pico al palazzo comunale alle chiese, il crollo del biomedicale, delle aziende, del lavoro. In realtà la mia casa non è andata distrutta ma non potevamo rientrarci subito, io e mio marito dedicavamo gran parte dei nostri pensieri a come fare per voltare pagina: Anita aveva poco più di un anno e io lavoravo a Bologna così ci spostammo qui, al Savena, dove poi siamo rimasti e dove è nato il mio secondo bimbo.

Nostalgia?

Il cuore, le amicizie dell’infanzia, la famiglia e un genitore che abita ancora là fanno parte di me, ci penso spesso. Non è facile neanche oggi raccontare di una città che ho amministrato e che ho visto venire giù. In un attimo non c’era più niente.

Lei arriva da una formazione cattolica-democratica di cui va orgogliosa, pur non sbandierandola. Una rarità.

Diciamo che il mondo cattolico è molto vivo e trasversale, anche in politica, e che io non amo chi chiude dentro un recinto unico i cattolici.

Come ha conosciuto il sindaco Lepore?

In maniera casuale. Lui era assessore all’economia e turismo e io lavoravo in Regione. Per me Bologna era un foglio bianco, dovevo costruire daccapo tutte le relazioni: Matteo è cresciuto nel mio quartiere, poi ho frequentato il circolo Mazzini e lui un bel giorno mi ha chiesto: “Perché non ti impegni di più?”.

Cosa l’ha colpita del suo far-politica?

Come interpretava l’amministrazione: in modo innovativo, tenendo molto conto delle persone fragili. Sono contentissima delle deleghe che mi ha affidato (famiglia, disabilità, sussidiarietà circolare).

Ci spiega per bene quest’ultima?

La sussidiarietà circolare permette la co-gestione, mette in connessione e reciprocità pubblico, privato e terzo settore che DEVONO sedere assieme al tavolo di co-progettazione. Soprattutto la sussidiarietà deve essere portata al tavolo del Pnrr. Della Famiglia mi interessa capire il nuovo assegno unico. Come sarà fatto? Come si potrà tradurre su Bologna?

Cosa resta dell’esperienza della Fabbrica 2021?

Rimane tanto, ma continua. È stato un lavoro che ha coinvolto centinaia di persone. Rivendico questa esperienza con chi ha avuto la voglia di pensare e tempo da dedicare a un progetto grande, un modo di avvicinarsi, di cucire legami.

E mentre lo dice si perde tra i ricordi, così recenti e già così lontani, che si intrecciano in un futuro da affrontare che è lì, ma che non la spaventa: come in un bellissimo sogno divenuto realtà.


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