Cultura e sociale non sono separati ma convivono nei processi di governance collaborativa, permettendo radicamento nei diversi luoghi della città, nella quale gli spazi sociali e culturali come le biblioteche, le case di quartiere e della salute ma anche mercati rionali esprimono risposte innovative a bisogni vecchi e nuovi
di Roberta Paltrinieri, professore ordinario del Dipartimento delle Arti dell’Università di Bologna
A settembre del 2021 è uscito il libro Welfare Culturale. La dimensione della cultura nei processi di Welfare di Comunità, a cura di Giacomo Manzoli e mia.
Il libro è l’esito di una ricerca svolta a Bologna, durante la pandemia, nata dalla collaborazione tra il Comune di Bologna, la Scuola Achille Ardigò e il Dipartimento delle Arti dell’Università di Bologna. Il focus della ricerca è la centralità della cultura nei processi di Welfare di Comunità, centralità che appare ancora più evidente alla luce della crisi pandemica.
Come viene evidenziato nel testo, l’emergere di pratiche di Welfare Culturale nascono nel solco dell’innovazione sociale e delle pratiche collaborative che hanno modificato il rapporto tra la pubblica amministrazione bolognese e i cittadini, all’interno di quelli che vengono definiti percorsi di Immaginazione Civica.
L’Immaginazione Civica rappresenta, in sintesi, una nuova visione di città, una città nella quale risorse e dispositivi – come il Bilancio Partecipativo, il Regolamento sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani, la riforma dei quartieri e del servizio territoriale – hanno promosso la nascita di comunità di progetto fondate sulla prossimità.
È bene chiarire che le comunità di progetto sono le comunità che nascono attorno a “temi, bisogni, progetti comuni”, che fungono da catalizzatori e divengono dispostivi abilitanti la civicness, ovvero senso civico e partecipazione.
Nell’ambito della Immaginazione Civica i quartieri acquisiscono una nuova centralità e non appaiono solo ed esclusivamente come unità amministrative, frutto del decentramento, quanto più come “laboratori dell’Immaginazione Civica”, la cui funzione principale è il lavoro di comunità.
Questo è il motivo per cui la ricerca è stata realizzata nel Quartiere Navile. Il Comune di Bologna ha infatti privilegiato la nascita delle nuove centralità culturali, che si caratterizzano per integrare i processi di welfare locale, lo sviluppo di capacità e di partecipazione culturale.
Se pensiamo al Welfare di Comunità come ad un welfare in cui l’obiettivo primario è la valorizzazione, in un’ottica comunitaria, della connessione delle persone, delle famiglie e del territorio, attraverso la ritessitura dei legami e delle relazioni, se pensiamo che questo welfare necessità di modelli di governance aperti anche a soggetti non convenzionali e a cittadini – per favorire una più allargata partecipazione per permettere una più approfondita lettura dei bisogni per arrivare a comprendere anche le fragilità più immateriali delle persone – è facile comprendere come la cultura possa essere un dispositivo potente per l’inclusione sociale.
Perché al di là del valore intrinseco della cultura, strettamente legato al contenuto artistico, occorre considerare il valore istituzionale, ovvero il modo in cui le organizzazioni culturali si comportano, quando attivano rapporti e relazioni con diversi attori dei territori contribuendo a rafforzare la crescita e la resilienza della comunità locale.
Grazie alla ricerca si sono infatti disvelate le potenzialità di integrazione tra servizi, opportunità e percorsi, resi accessibili non solo dal sistema pubblico, ma anche attraverso il pluralismo di attori istituzionali, associativi, economici, nell’ottica della sussidiarietà circolare, promuovendo al contempo un percorso di autoriflessività importante per la maturità amministrativa. In altre parole, la ricerca dimostra come il Welfare Culturale sia già attualizzato a Bologna e l’emergere delle buone pratiche che il libro illustra mostra le opportunità che derivano dalla attivazione di politiche ad hoc.
Se si può parlare di un modello di Welfare Culturale per la comunità bolognese certamente la sua caratteristica principale è quella di non essere né “riparativo”, né standardizzato, piuttosto un welfare capace di produrre risposte flessibili, personalizzate e multidimensionali, un welfare che promuovendo forme di mutualità e socialità è di per sé universalistico, il cui obiettivo è quello della redistribuzione di capacitazioni culturali e della cittadinanza culturale.
In un dialogo costante con altre città europee come Barcellona e Parigi e nel solco della prossimità che è il leit motiv di questa forma di welfare, cultura e sociale non sono quindi separati ma convivono nei processi di governance collaborativa, permettendo radicamento nei diversi luoghi della città, nella quale gli spazi sociali e culturali come le biblioteche, le case di quartiere e della salute ma anche mercati rionali esprimono risposte innovative a bisogni vecchi e nuovi.
Brava Roberta. Adesso Ti sfido perché, parlando da persona di sport, conosco e riconosco tutti i temi. Voglio vedere chi, oltre a Te, capisce che lo sport è un interlocutore valido, se non altro perché allenato a quel gioco di squadra che è l’Immaginazione Civica. Vediamo se finalmente riusciamo a mettere in campo, lo stesso campo, la Bologna che siamo. Nella cultura e nello sport. Nella cultura sportiva mi verrebbe da dire