Bisogna mettere mano a una grande operazione di cambiamento, mettendo al primo posto il dibattito e non l’inciucio, le idee e non le tessere, le strategie e non le poltrone, i programmi a medio e lungo termine e non la politica dell’esistente
di Giovanni De Plato, psichiatra e scrittore
Il Pd locale ha scelto di convocare i congressi provinciale di Bologna e regionale dell’Emilia-Romagna in novembre e nelle prime due settimane di dicembre. Sono due scadenze importanti che arrivano quando il partito ha appena vinto con netto successo le amministrative di Bologna, eleggendo sindaco il proprio candidato Matteo Lepore al primo turno. Anche nel 2019 alle regionali aveva ugualmente vinto contro la destra sconfiggendo l’assalto del Carroccio di Matteo Salvini e confermando per la seconda volta alla presidenza dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini.
Si può dire che il Pd locale apre la stagione dei congressi forte dei consensi elettorali e sull’onda di un vento favorevole. Per queste ragioni dovrebbe affrontare la fase congressuale non in tono minore (qui tutto va bene e squadra che vince non si cambia), ma tenendo conto di ciò che sta avvenendo a livello nazionale, europeo e globale. E di come questi avvenimenti hanno una ricaduta sul livello locale.
Il G20 di Roma ha condiviso la necessità di costruire in ogni Paese un modello economico sostenibile e umano. Il Seminario Global Progress, organizzato negli stessi giorni a Roma dal segretario del Pd, ha visto la partecipazione dei socialdemocratici europei, dei dem americani e dei liberali canadesi. Questi ultimi sono gli interlocutori internazionali del ‘campo largo’ che Letta vuole aggregare anche in Italia per vincere le politiche del 2023. Il vertice sul clima dell’Onu Cop26 dovrà decidere le sorti del pianeta e dei popoli poveri, con l’invito ai Paesi ad adottare azioni concrete.
In questa direzione sembra muoversi, giustamente, il sindaco Lepore quando ha promesso di voler fare di Bologna la città più progressista e green del Paese. Dunque, la sinistra deve mettere mano a una nuova strategia politica e a un suo nuovo progetto di società. Quale migliore occasione della fase congressuale del Pd per mettere a punto la rivoluzione politica e programmatica auspicate dai consessi internazionali.
Da Bologna davvero potrebbe partire la svolta, avviando quel confronto politico del futuro centrosinistra, quale alleanza aggregante le forze del progresso e della democrazia. La riflessione e il dibattito dovrebbero partire dalla sconfitta della sinistra in Senato sulla legge contro l’omotransfobia, perché lì l’approccio progressista ai diritti di civiltà ha lasciato il posto a un radicalismo perdente.
È da tempo che la politica della sinistra si compone e scompone in alleanze che non poggiano su un comune patrimonio d’idee e di visioni. Si assiste a un continuo rimescolamento delle carte senza che si possa mai giocare da sinistra una partita alternativa alla destra del paese, che resta sempre pronta ad affossare le leggi sui diritti civili e sociali, sapendo di poter contare sui transfughi dei partiti avversari. Il solo modo per la sinistra di uscire da questo indecente tunnel, apparentemente interminabile, è quello di riformare la politica e di rifondare i partiti secondo il dettato della Carta costituzionale.
Una delle questioni irrisolte dei partiti riformisti è proprio quella di come arare un campo progressista di larghe intese, dove possano nascere buoni e non velenosi frutti. A questo fine servono i Congressi di partito. All’ordine del giorno ci dovrebbe essere il ripensare se stessi, capire il nuovo delle società, captare le aspettative delle persone, superare storture organizzative ed errori strategici, il fare dei cittadini i veri attori del cambiamento.
Questa rivoluzione può ripartire solo dai territori, dalle città e dalle regioni dove la sinistra è più forte e il centro-sinistra più credibile. I congressi del Pd di Bologna e dell’Emilia-Romagna potrebbero indicare questa correzione di rotta e la rinascita di un ‘campo largo’, ritrovando la necessaria sintonia con una società in rapida e strutturale trasformazione, formando quadri che ritengono la politica un servizio, scegliendo meritevoli dirigenti e spazzando via impresentabili cacicchi, promuovendo persone esperte e trasparenti.
Dalle prime avvisaglie dei Congressi provinciali e regionale si ha l’impressione che i dirigenti e gli eletti locali del Pd vogliano rinsaldare gli accordi tra le correnti, col solito ritornello di ricomporre l’unità interna. Se così fosse, non ci sarebbe bisogno dei Congressi, basta un tavolino per accordare le pretese dei vari capibastone. Se così non fosse bisogna mettere mano a una grande operazione di cambiamento, mettendo al primo posto il dibattito e non l’inciucio, le idee e non le tessere, le strategie e non le poltrone, i programmi a medio e lungo termine e non la politica dell’esistente.
Hai dimenticato di dire che non ha votato la meta’: degli elettori;cosa inedita e che delegittima.Lo Statuto del PD non prevede confesso Avremo accordi tra correnti tra amici degli amici ;farsa continua
Considerazioni interessanti e condivisibili. Il Partito Democratico ha vinto molte battaglie amministrative negli ultimi anni, e questo è un fatto che ci fa esultare! Ma la storia recente ci insegna che le vittorie sono cicliche con i due campi da gioco che si alternano. Il congresso sarebbe l’occasione per ragionare sulle future strategie e sui motivi dell’allontanamento progressivo delle persone, testimoniato dal calo costante delle tessere del PD. I dirigenti, professionisti delle “tattiche”, raggiungono i risultati aprendo a partiti e formazioni politiche in occasione degli appuntamenti elettorali, ma per consolidare questi risultati bisogna procedere ad un’autoriforma, ritrovando il gusto del confronto con i cittadini e le cittadine. Una sorta di “agorà” informali permanenti che suscitano interesse e facilitano la partecipazione, che non può essere appaltata esclusivamente alle istituzioni.